31 agosto 2013

Gli idoli


Nella sua seconda lettera a Timoteo l’apostolo Paolo scrive: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, per riprendere, per correggere, per disciplinare nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia pienamente competente, del tutto preparato per ogni opera buona”.
Chi è l’uomo di Dio? Non è il prete o la suora ma ogni essere umano che sta aprendo il proprio cuore al Padre permettendogli di trasformarlo da cuore di pietra a cuore di carne; è colei che chiede a Dio di essere utilizzata per i suoi scopi, è colui che prega “sia fatta la tua volontà, venga il tuo regno”, toglimi dal sonno della coscienza e aiutami a non esser più del mondo pur vivendoci.

L’uomo e la donna di Dio desiderano essere competenti e preparati per ogni opera buona e per questo usano anche le Sacre Scritture per conoscere più a fondo la volontà di Dio e accrescere la propria consapevolezza. Noi tutti amiamo quindi utilizzare la Bibbia e non solo i vangeli e le lettere ma anche il cosiddetto vecchio testamento e, nell’accostarci alla lettura, chiediamo che il Padre infonda il suo spirito su di noi.

Leggiamo il libro di Esodo, al capitolo 20, i versi 4 e 5:
“Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è sulla terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere indotto a servirle…”
Di cosa sta parlando il Padre, cosa vuole dire a noi, uomini e donne del 2013 che oggi consideriamo questo comando?

Per noi gli idoli di cui parlano i dieci comandamenti sono le cose che desideriamo di più, tutto ciò cui immoliamo l’intera nostra vita, l’energia, l’attenzione, ogni nostra risorsa.
Sono gli oggetti materiali, le persone o le posizioni sociali cui aspiriamo. Essi ci impediscono di vivere la bellezza del “qui e ora” perché noi aspiriamo a qualcosa che forse avremo presto, in futuro, ritenendo che, una volta giunti a quel traguardo, la nostra vita cambierà, saremo finalmente soddisfatti e appagati.



Fanno così i ragazzi quando desiderano tanto il primo telefonino o la prima moto, o quando attendono la patente di guida.
Fanno così le donne che aspirano a cambiare il mobilio o a rifarsi il seno.
Fanno così le persone che cercano con trepidazione l’anima gemella.
Fanno così gli uomini che vogliono la macchina nuova o aspirano a fare carriera.
I desideri di queste e altre cose diventano fissazioni e occupano tutto il nostro campo mentale ed emotivo.
Questi idoli ci derubano della vita e ci impediscono di capire chi siamo e come dovremmo impiegare la nostra esistenza.

Gli idoli sono inoltre una strategia che attuiamo per anestetizzarci, per non avvertire il dolore che proviamo dentro; ma il dolore è un dono di Dio, è un campanello d’allarme per avvertirci che stiamo sbagliando qualcosa. Se noi sopprimiamo il sintomo arriveranno dolori e disavventure più grandi fino a che non prendiamo coscienza del significato delle nostre difficoltà.

Facendo un collegamento con il capitolo 11 di Genesi scopriamo anche il significato più profondo del racconto della costruzione della torre di Babele. Essa rappresenta la nostra condizione di uomini che cercano a tutti i costi di farsi un nome; ogni uomo spreca il suo prezioso tempo e la sua energia per ottenere una posizione, un riconoscimento.
Il Padre dice: “ma come, io ho fatto questo uomo perché abbia grandi progetti e lui si dovrebbe accontentare di questi obiettivi meschini? Ah no, io adesso scendo e gli confondo le cose, gli mando tutto a gambe all’aria!”

Anche nel vostro caso, quante volte Dio è sceso, è intervenuto e ha scombinato tutto? Se vi sembra non sia ancora successo preparatevi perché immancabilmente succederà, deve succedere! Dio non può permettere che uno dei suoi figli non viva da Uomo ma continui a razzolare nel fango e la ghiaia come un bipede pennuto.
Un consiglio quindi: in futuro non innamoratevi più dei vostri progetti, della vostra volontà personale ma rimanete in ascolto della volontà di Dio affinché sia lui a dirvi cosa fare della vostra, o meglio della sua vita.

Enrico D'Errico

30 agosto 2013

Essere niente

continua dal precedente post sull'orgoglio.

Questo articolo è tratto dal libro "Le malattie dell'anima" di  Alphonse e Rachel Goettmann.

Molti santi e padri della chiesa ebbero spesso a dire che la loro gioia più grande era "essere niente". Sembra evidente che ciò si riferisce al completo annullamento della loro personalità, della identificazione con i corpi. Sentivano di essere anima, di far parte dell'Uno, di essere uno strumento nelle mani di Dio.

Nel vangelo di Marco, al capitolo 8 versetti 34 e 35 Gesù ci dice: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua di continuo. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e della buona notizia, la salverà".

Rinunciare a se stessi, rinnegarsi, essere niente, ecco dei termini che disgustano e umiliano l'uomo del nostro tempo; ma respingere questo appello di Cristo significa rinnegarlo. Potrebbe forse Cristo voler umiliare colui per il quale ha donato la sua vita? L'umile è lieto di essere "niente". E questa gioia, questo niente, è la gioia di sapersi, per pura bontà di Dio, amico degli uomini e "co-eredi di Cristo".

Essere niente non costituisce né un fine né un ideale in sé, ma è rinunciare alla volontà della personalità e rinnegare le esigenze dell'ego per seguire Gesù; è mettere l'ego in croce....Seguire Cristo è uscire dalla prigione delle passioni e dalle loro conseguenze mortali. Cristo ci invita molto semplicemente a vivere come lui; non sappiamo più cosa significa vivere ma egli ce lo insegna: "Imparate da me!" (Matteo 11:29).

Invece di essere invischiati in questo mondo, schiavi delle passioni, Gesù ci introduce alla vita divina: ci dice che si può essere nel mondo senza essere del mondo (Giovanni 17:14-16), che esiste una maniera di vivere totalmente libera e non condizionata, che anche nelle situazioni peggiori l'uomo può vivere una suprema felicità e persino l'impossibile diventa possibile.

Non possiamo accedere alla beatitudine con le nostre sole forze; l'esperienza che abbiamo della felicità ci permette di comprenderla ma l'umiltà è comune a Dio e all'uomo.

  "L'umiltà ci è co-naturale e l'abbiamo in comune con tutti coloro che vivono sulla terra, fatti di terra alla quale ritornano. Se dunque imiti Dio in ciò che è conforme alla tua natura e non supera le tue risorse, tu rivesti come di un abito la felice forma di Dio"
     San Gregorio di Nissa




Noi intuiamo che felicità e umiltà costituiscono un unico e medesimo tragitto, una stessa dinamica, un medesimo movimento il cui "Cammino" è il Signore Gesù Cristo.


                                                         Enrico D'Errico

continua nel prossimo post sulla lussuria



29 agosto 2013

Portando a spasso Gastone


Se alla mia musica sperimentale preferisci gli 883, se per te 4 salti in padella è decisamente meglio delle mie noiosissime ricette, se il massimo di Regno che riesci a concepire è il mondo buono del mulino bianco e se sei più interessato a conoscere la vera identità di Adam Kadmon piuttosto che la tua..........................
forse questo blog non fa per te.
Peccato...proprio adesso che sono in procinto di pubblicare questo breve ma intenso post!!!


Ore 20.15, Parco Scott, Roma
E’ una splendida serata e mi dirigo col cane verso il parco. L’asfalto riflette ancora abbondantemente il calore del sole assorbito in tutta la giornata ma…..non appena i miei piedi calpestano l’erba del prato una frescura piacevolissima mi avvolge. Poi la mia attenzione è attratta da numerosi pipistrelli banchettanti con i moscerini che al tramonto qui danzano ignari del pericolo.
Il mio sguardo è rivolto al cielo, a una meravigliosa mezza luna, ma sento anche che sta rivolgendosi sempre più all’interno, al mio centro di gravità (evidentemente non ancora permanente!).
Cammino ancora e annuso l’odore di un albero appena tagliato perché era crollato e ostruiva il passaggio, pochi passi ancora e………eccolo, eccolo il mio cuore che mi invade con la sua capacità di percepire più bellezza e di farmi sentire Uno con tutto.
E penso “Io sono qui e questo momento è tutto ciò che c’è, tutto ciò che ho; un passo, un altro passo, un altro ancora e…non c’è il passo precedente, non c’è quello che ancora devo fare ma solo questo singolo passo che il mio piede imprime sul terreno…

……come ho trascorso la mia esistenza fin’ora, come ho speso il mio tempo?
Mi sono preoccupato solo di raccogliere il becchime nella mia piccola aia, o invece ho cercato di accrescere la mia capacità d’amare?  Eppure è proprio per questo che sono venuto….ma non sempre lo ricordo…

Se io fossi davanti ad un’immensa folla di “pecore senza pastore” sarei in grado di provare la stessa compassione del Cristo? Non credo proprio…
E se fossi picchiato, torturato e insultato, se soffrissi come soffrì Lui, sulla croce, saprei poi perdonare, anzi amare i miei carnefici? No, non credo…

Enrico D'Errico



28 agosto 2013

Una vita di quieta disperazione

Henry David Thoreau dice: 
   “La maggioranza degli uomini vive in quieta disperazione". 
E di se stesso dice:
   “Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita, per non dover scoprire in punto di morte che non ero mai vissuto”

La fine degli anni 80 sono stati un momento di passaggio importantissimo nella mia vita: il mio primo matrimonio si era concluso in maniera tragica, stavo modificando la mia alimentazione e imparando un nuovo stile di vita frequentando il Kushi Institute, la più importante scuola macrobiotica esistente. Poi arrivò una scuola di danza, cosa che mi fu suggerita dal mio insegnante Ferro Ledvinka, Ferruccio per gli amici, e...decisamente le cose cominciarono a cambiare. Scoprire il movimento del corpo nella musica fu davvero bellissimo; vivere stava diventando molto più piacevole e fu allora che incontrai per la prima volta il libro più importante di Thoreau: Walden o vita nei boschi. 
Mi sembrò una delle cose più belle mai scritte da essere umano........
Ho ancora quel libro e, mentre vi scrivo, è qui davanti a me: è sporco e consunto ma mi emoziona ancora tanto ripescarlo dalla mia libreria. 

Quest'uomo scriveva parole impregnate di una forza speciale, molto rara per quell'epoca (il libro è del 1854).
Se il Padre mi concede ancora giorni di vita dedicherò alcuni dei prossimi post a "leggere con voi" le sue parole, per vedere se c'è ancora qualcosa che possa svegliarvi dal sonno della coscienza, razza di bipedi dormienti! 
Se siete in attesa che arrivi Morpheus con la sua equipe per estrarvi dal bozzolo in cui vegetate a vantaggio di creature disgustose che si nutrono di voi....beh, rischiate di rimanere delusi perché non verrà proprio nessuno. Sta a voi e solo a voi disconnettere i tubi ed estrarvi dal liquido vischioso...

"Ma no, non ora, ora non posso, ho tanto da fare in questo mondo!" state forse dicendo..... 
In tutta franchezza, se ancora non lo avete capito, credo proprio che sia arrivato il momento in cui se non uscite dal mondo ORA, forse non riuscirete più a uscirne per un bel pezzo!

Lo vuoi succhiare sto "midollo della vita" o vuoi essere succhiato tu, ancora per qualche trilione di anni?!?
Questo atteggiamento di resistenza, di pigrizia, di continuo procrastinare, mi ricorda anche un paio di episodi biblici......volete conoscerli o siete già troppo stanchi per essere arrivati fin qui?

Bene, raccatta la tua copia della Bibbia e vai al capitolo 24 del libro di Matteo. Questo è, per quanto riguarda i tempi che stiamo vivendo, uno dei libri più importanti delle Sacre Scritture; in esso sono descritte esattamente le cose che stiamo vedendo accadere e che ancora avverranno sul pianeta. Ma il punto in particolare su cui vorrei far soffermare la vostra debolissima capacità di concentrarvi è dal versetto 37 al 44: "Poiché come furono i giorni di Noè così sarà la presenza del Figlio dell'uomo. Poiché come in quei giorni prima del diluvio mangiavano e bevevano, gli uomini si sposavano e le donne erano date in matrimonio, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si avvidero di nulla finché venne il diluvio e li spazzò via tutti. (37-39) Siate vigilanti dunque perché non sapete in quale giorno verrà il vostro Signore. (42)

Allora, qui le cose sono molto chiare: a quel tempo Noè e la sua famiglia si stavano dando da fare avvertendo le persone che qualcosa di catastrofico si stava per abbattere sulla terra. Come reagirono tutti? Risposero forse "oh si, grazie Noè, ora corro subito ai ripari, mollo tutto e ti seguo nell'arca della salvezza!"? Niente affatto.....erano così impegnati nelle loro cose, nella vita comune di tutti i giorni....mangiavano e bevevano...alcuni dovevano sposarsi....insomma attività del tutto normali. Già ma attività in cui erano così identificati ed immersi che, come dice la Bibbia, "non si avvidero di nulla", non riuscirono a comprendere l'importanza vitale del messaggio ricevuto.

L'invito "siate vigilanti dunque" e "siate pronti" è per noi, ora.
Adesso non c'è un'arca fisica ad aspettarci: la salvezza è nel nostro desiderio di risvegliarci e nello sforzo che facciamo perché questo avvenga. 
La salvezza è nella fiducia nel potere nascosto in noi, nella riscoperta del guerriero interiore.
Attualmente il vecchio mondo viene spazzato via, stavolta non dall'acqua ma dal fuoco, il fuoco del rinnovamento, della consapevolezza. Se non resettiamo il nostro trasformatore, il nuovo voltaggio del Regno in via di instaurazione, ci brucerà.
Elevare la nostra frequenza vibratoria ADESSO è l'unica possibilità che abbiamo di non subire i danni che stanno subendo tutti coloro che si stanno opponendo con ostinazione al percorso evolutivo.
Da tempo il Padre tende loro la mano dicendo: "Dai, torna a casa....vieni che ti guido io!".
Ma loro rispondono: "Cosa?!? Dove dovrei venire io? E poi...chi sei tu...io non ti conosco!"

E' questo un momento meraviglioso in cui vivere; non c'è da temere ma solo da agire. 
Se le parole del vangelo di Matteo ci fanno ancora un po' rabbrividire, abbiamo ancora del lavoro da fare; se invece ci sentiamo comunque già al sicuro e nell'abbraccio del Padre, c'è lo stesso tanto lavoro da fare ma non più solo per noi stessi.
Vorrei anche leggere con voi l'altro episodio ma....è meglio che ci rivediamo al prossimo post "La sollecitudine di Lot".

Enrico D'Errico

27 agosto 2013

Sul silenzio

Ho constatato con piacere che molti di voi seguono la pagina dedicata alla preghiera e questo breve post è per invitare alla consultazione anche coloro che ancora non l'hanno visitata.
A partire da oggi alcuni pensieri del giorno verteranno ancora sul tema del silenzio; certo sappiamo che per trovarlo non è necessario scegliere una vita monastica, eppure molti uomini, che hanno fatto del silenzio una regola di vita, hanno scelto proprio di diventare monaci, nelle certose.

Nelle certose di tutto il mondo si trovano monaci e monache che seguono ancora oggi uno stile di vita spirituale che risale a più di novecento anni fa all'epoca di Guigo e ancor prima: sono i certosini.
Essi sono ancora tenuti insieme da una convinzione che Guigo così esprime: "E' nel silenzio e nella solitudine che si trova Dio"

Per tutti noi che lo cerchiamo anche sulla tangenziale di Milano o sul grande raccordo anulare a Roma, l'invito è facciamo in modo che Dio faccia sentire la sua presenza anche nel mezzo della giornata più chiassosa e nell'ora più rumorosa di quella stessa giornata.
Dio non aspetta che ci uniamo a lui mentre trascorriamo un tranquillo week-end in campagna. Va benissimo anche un giorno caotico in città. Dio può essere presente nel silenzio e nella solitudine dei certosini tanto quanto in una cucina piena di piatti sporchi.

Siediti e stai tranquillo.
Fai spazio al silenzio.

Per alcuni giorni leggeremo pensieri tratti dagli scritti di Guigo II e di Thomas Merton


Thomas Merton

26 agosto 2013

L'orgoglio

(continua dal precedente post sulla tracotanza, la vanità). 


Questo peccato capitale o passione maggiore era chiamata "ubris" dai greci (upsilon-beta-rho-jota-sigma); i loro dei punivano il genere umano quando peccava di superbia, quando si rivolgeva al cielo senza umiltà. Ritenersi simili agli dei era considerato arroganza; ora noi in realtà, dobbiamo scoprire proprio di essere simili a Dio, anzi, di essere Dio stesso, ma, come dicono le Scritture, ciò va fatto secondo delle tappe prestabilite. 

In Salmo 82:6 leggiamo "Io stesso ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo". "Voi siete dèi" dice il Padre, e il serpente promette alla donna, se gli darà ascolto: "...e voi sarete davvero simili a Dio" (Genesi 3:5). Dunque Adamo, l'Uomo era destinato a divenire dio, ma in Dio e attraverso Dio, non un altro dio senza Dio.





San Ireneo di Lione scrisse: 
"Bisognava che l'uomo fosse prima creato; che una volta creato crescesse; che essendo cresciuto divenisse adulto; che essendo divenuto adulto si moltiplicasse; che essendosi moltiplicato divenisse forte; che essendo divenuto forte fosse glorificato; e che, glorificato, vedesse il suo Signore". E ancora aggiunge "Come potrai essere Dio se ancora non sei stato fatto uomo? Come potrai essere compiuto se sei stato appena creato?"
Nella Bibbia è detto che Satana fece credere ai nostri progenitori di non aver alcun bisogno di queste tappe di maturazione e che avrebbero potuto conquistare da se stessi la deificazione, quindi per se stessi godere e trarre frutto dalla somiglianza: sarebbe stato sufficiente mangiare del frutto dell'albero, quello al quale Dio non aveva ancora permesso l'accesso perché il tempo non era ancora venuto. 

E' per orgoglio che mi distolgo da Dio quando penso e agisco unicamente secondo il mio piacere. L'orgoglioso vuole esistere senza Dio, vuole impossessarsi dei doni e degli attributi divini e servirsene indipendentemente da Dio. Ma senza Dio, separato dal suo creatore, l'uomo non ha la capacità di divenire uomo; satana lo sapeva. Fuori da Dio è la morte: Dio chiama alla vita, distogliersi da lui significa incamminarsi verso la morte.   


Così come avviene per la vanità, l'orgoglio prende due direzioni: l'orgoglioso cerca di elevarsi e si mette sia al di sopra del fratello, sia al di sopra di Dio. Orgoglio e vanità sono quelle passioni che si fecondano continuamente: la vanità apre la porta all'orgoglio, e l'orgoglio cerca la vanità. Queste due passioni hanno molti punti in comune; la differenza è che non si cerca più lo sguardo dell'altro, ma ci si stima, ci si sovrastima, si è soddisfatti di se stessi fino all'adorazione di sé, l'autolatria. Ci si crede molto intelligenti, molto dotati, molto belli, molto ricchi, con una posizione sociale molto buona, e questo "molto" diventerà "il più" al posto di Dio; ma la scrittura di 1° Corinti 4:7 dice: "Chi dunque ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?" 


L'orgoglioso è come ipnotizzato da se stesso, vive in un mondo chiuso e vede suo fratello solo per disprezzarlo. Oppure l'altro esiste solo come sgabello per elevarsi ancora di più; l'altro è una cosa e, se oppone resistenza, allora diventa oggetto di collera, di aggressività, di odio e ogni vera relazione diventa impossibile. L'orgoglioso non perdona l'offesa, al contrario, calpesta l'altro e si arroga il diritto di giudicarlo, mentre Dio solo può conoscere i nostri pensieri e sondare il nostro cuore.

Posseduto dalla passione, l'orgoglioso è arrogante, ostenta il suo sapere, è infatuato e sicuro di sé. L'orgoglio lo priva della capacità di ascoltare, ha sempre ragione, non può sbagliarsi, rifiuta di mettersi in discussione, si giustifica per non cadere dal suo piedistallo.

Quando cediamo all'orgoglio siamo pieni di follia, chiudiamo gli occhi all'evidenza e gli orecchi alla verità, deliriamo. L'orgoglio di uno solo può voler distruggere una razza, una nazione, può mettere i popoli gli uni contro gli altri, portare al genocidio e alle rivoluzioni; ma può diventare anche orgoglio collettivo: la storia della torre di Babele, nel libro di Genesi è proprio un simbolo di orgoglio collettivo: "Suvvia, edifichiamoci una città e anche una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome celebre..." (Genesi 11:4)        


L'unico antidoto all'orgoglio è l'umiltà,fonte di ogni bene e fondamento della vita. Ecco perché lo scopo dell'ascesi è quello di frantumare l'orgoglio e di fare dell'umiltà la nuova terra dell'uomo.

Ma dell'umiltà continueremo a parlare in un prossimo articolo dal titolo "Essere niente".

Enrico D'Errico                                               

25 agosto 2013

Sulla tracotanza

questo post fa seguito ai cinque dedicati alla gola, pubblicati nelle settimane precedenti.

La tracotanza o superbia, è un altro dei peccati tenuti in gran considerazione dai padri della chiesa e da loro descritta nei testi della Filocalia. Personalmente mi sono avvicinato ad essa passando prima dalla lettura di un altro libro prezioso, "I racconti di un pellegrino russo"; poi, come già vi dissi, ho letto alcuni libri di J. Y. Leloup e dei coniugi Goettmann, e da quest'ultimi ho tratto alcuni brani.
In realtà il peccato della superbia è compreso nei "sette vizi capitali" della chiesa d'occidente, mentre nelle "otto passioni maggiori" della chiesa d'oriente si parla di "vanagloria" e "orgoglio": a queste due passioni sono dedicati questo post e i successivi.

La vanità o vanagloria ("cenodossia" in alcuni testi dei padri della chiesa) è il desiderio di essere visti o di farsi vedere. La letteratura patristica sostiene che il sentimento di vanità accompagna come un'ombra il progresso spirituale. Secondo Giovanni Cassiano è una reazione interiore , impercettibile e nascosta, che sfugge al controllo della nostra volontà; si maschera sotto infinite spoglie e si impadronisce di tutto, anche delle buone azioni. E' un bisogno insano di essere riconosciuti e lodati per ciò che si fa. L'ego pretende di essere sempre al centro di tutto, in ogni momento, punto di attrazione dell'attenzione di tutti. La persona vanitosa ama compiacersi del proprio aspetto, della propria voce, dei propri discorsi, delle proprie qualità, del proprio sapere...
Spesso è stizzito e infastidito dal fatto che gli altri non si accorgano per primi delle sue "straordinarie" doti.
Il vanaglorioso ama essere guardato e si placa solo quando percepisce l'ammirazione degli altri. Fa della propria vita una rappresentazione teatrale. Il suo io non è mai nudo, ma sempre protetto da una maschera, diversa a seconda delle occasioni. E questo, secondo i padri della chiesa, uccide a poco a poco la vitalità della persona, perché la recita è sempre una grande fatica per l'attore in questione.


H. Bosch (1450-1516) I sette peccati capitali
(Particolare: la superbia)


L'ego prende il posto di Dio.
Il vanitoso, in genere, ama la convivialità, perché il proprio narcisismo ha continuamente bisogno di specchiarsi negli altri per ricevere conferme. E sovente il vanitoso si circonda di persone che sono come lui, perché il vanitoso ha paura della diversità.
Tuttavia, quando incontra qualcuno che lo pone di fronte alla verità di se stesso, il vanitoso sente sbriciolarsi le proprie maschere e reagisce evitando le relazioni. Diventa arrogante, aggressivo, geloso e impacciato: l'unica via d'uscita è la fuga.

Il grande rimedio della vanità è di volgere lo sguardo da se stessi a Cristo e di fissare il suo volto a lungo e intensamente: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Galati 2:20). Lo scopo della Preghiera di Gesù è proprio quello di aiutarci a ritrovare il nostro centro in Cristo. Quando preghiamo non cerchiamo più lo sguardo degli altri su di noi, ma ci lasciamo guardare da Cristo. Restiamo in attesa perché tutto ci viene da lui: "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?" (1° Corinti 4:7).
Il vanitoso impara a capire che le sue doti e le sue qualità non sono sue e quindi degne di ammirazione, sono solo dono di Dio, un regalo di cui essere solo grati. Così si libera l'uomo interiore. Quando si accorge di essere oggetto delle attenzioni premurose e continue del Signore, l'individuo non ha più bisogno di riconoscimenti esteriori.

Enrico D'Errico


continua nel prossimo post dedicato all'orgoglio

                                                                                       

24 agosto 2013

Orizzontale e verticale

Uno degli argomenti che più mi ha entusiasmato nell'ultima settimana riguarda le otto passioni maggiori o, come dice la chiesa occidentale, i sette peccati o vizi capitali.
Ho dedicato al tema del cibo, della gola, gli ultimi 5 articoli e credo che nei prossimi post esaminerò anche le altre passioni, a cominciare dalla vanità e l'orgoglio.

Ho avuto modo di ripensare al periodo in cui lessi gli scritti dei padri della chiesa e alcuni testi di scrittori contemporanei; ricordo che quando mi resi conto che quelle caratteristiche di cui si parlava mi riguardavano un po' tutte rimasi molto colpito. In genere nella falsa immagine che ci costruiamo di noi stessi nessuno comprende aspetti come  l'orgoglio, la lussuria o la gola. Eppure, nella misura in cui siamo lontani dal Padre e quindi identificati con la personalità, quelle caratteristiche carnali ci appartengono tutte; quando poi, con un lavoro di osservazione di sé usciamo sempre più dalla personalità, dalla coscienza di mondo per entrare in quella del Regno, quelle caratteristiche vengono sublimate e, ad esempio, la relazione sessuale non ha più i connotati di voracità e soddisfazione di istinti materiali, ma assume sempre più sacralità e di offerta all'altro di sé; stessa cosa per l'aspetto del cibo: se prima era soprattutto una brama della gola, dei sensi, poi rappresenta invece un momento magico in cui accettare nel corpo alimenti dotati di energia cosmica che sono stati preparati per noi nei laboratori divini.

Credo che qui, come in ogni aspetto della vita, possano essere fatti due tipi di lavoro: uno orizzontale e uno verticale. 
Nel primo prendo in esame ogni singolo peccato e, riconoscendomi in pieno nelle descrizione dei santi e dei padri della chiesa, esercito uno sforzo particolare per trattenermi da determinate azioni, mi pento e mi concentro nella preghiera. Nel secondo approccio osservo soprattutto i miei corpi e comincio ad identificarmi sempre più con colui che osserva; a poco a poco questo sforzo costante porta luce su tutto contemporaneamente e la grazia divina si fa strada in me, sempre più consapevole di essere anima e non corpo che pecca in numerosi modi; quando avviene questo, l'individuo è così pieno di gioia, così nutrito dal Padre che non sente più il bisogno di colmare la fame di Dio con le azioni corrispondenti alle passioni descritte nella Filocalia.

La visione orizzontale ci obbliga a lavorare su un aspetto alla volta e con sforzi terribili, il che spesso non fa altro che rafforzare ciò che cerchiamo di evitare; quella verticale non considera sbagliata nessuna strada, non ci colpevolizza e ci permette di amare e accogliere senza giudizio anche le azioni più turpi che abbiamo l'abitudine di compiere. 

Quello del giudizio è forse l'aspetto più importante: nel primo caso giudico negativamente il mio operato, mentre nel secondo non lo giudico affatto.
L'alchemizzazione delle passioni è sicuramente il modo più intelligente ed efficace per guarire da ciò quelle che sono state definite "le malattie dell'anima".

Enrico D'Errico

L'uomo è un essere che ha fame

continua dal post "Ho fame di Dio 2"

Tutta la Bibbia ci presenta l'uomo come creatura affamata. Il mondo intero è il suo cibo, e il suo corpo è fatto della stessa sostanza del mondo. Dio gli offre l'universo come mensa di un banchetto universale (Genesi 1:29). Vivere, in un certo senso, non è niente altro che mangiare! Gesù stesso paragonò il suo Regno a un pranzo di nozze: "Possiate voi mangiare e bere alla mia mensa" (Luca 22:30) e fu alle nozze di Cana che manifestò per la prima volta la sua gloria proprio nell'atto del bere e del mangiare!



Noi mangiamo anzitutto con la bocca...certamente, ma anche con gli occhi, le orecchie, le narici, le mani..... non c'è un solo istante lungo il corso della giornata in cui non siamo in uno stato di ricettività.
Anche durante la notte...il sonno è nutrimento!
E infine noi ci nutriamo anche attraverso la respirazione. Se è vero che per un certo tempo possiamo sospendere ogni forma di nutrimento solido o liquido, tuttavia non ci è possibile smettere di respirare: si tratta di vita o di morte!

Perché Dio ci ha creati in questo modo? Cosa significa questa fame che tormenta l'uomo fin dalla nascita?

Significa che in realtà l'uomo ha fame di Dio.
I nostri molti desideri contengono in fondo l'unico desiderio insoddisfatto: il desiderio di Dio. E il nostro cuore non avrà pace fino a che non lo avrà trovato, dice Sant'Agostino. Dietro tutti i languori della nostra esistenza si nasconde il desiderio di Dio...
Diventare consapevoli della presenza di Dio in tutto e in tutti e imparare a gustarlo nei doni della creazione, significa anche diventare sacerdoti di questa mensa che è l'universo: la nostra vita deve diventare un sacrificio eucaristico, cioè un atto di offerta e di ringraziamento per il nutrimento che ogni giorno Dio ci somministra.

La gola è la perversione tragica di questa grandiosa prospettiva. Anziché atto di offerta, di ringraziamento, di condivisione, il nutrirsi diventa puro consumo, atto aggressivo di avidità e di sopraffazione.

Il goloso non gusta il cibo, lo trangugia voracemente, e non è capace di apprezzare e di gioire neppure degli altri doni.
Martin Buber scrive: "L'atto del mangiare è sacro. Se si impara a mangiare con gratitudine, si liberano anche in questo atto le scintille della divina presenza, della Shekinah, che si trovano nel nutrimento.
Si apprende la sacralità di quest'atto atraverso tre gesti fondamentali che ci relazionano nuovamente a Cristo "pane di vita disceso dal cielo": 


  1. La Preghiera di Gesù, masticata e ruminata, come un'autentica manducazione della parola di Dio.
  2. L'Eucaristia, poiché "chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Giovanni 6:54) e può così riconoscere in ogni cibo il sacramento della sua presenza;
  3. Il digiuno, grazie al quale ci viene rivelato in modo mirabile che il mistero della nostra insaziabile fame è fame di Dio: con il digiuno rispondiamo in modo "alternativo" ai bisogni della carne, purificandoci dai veleni presenti nel corpo e rendendoci più permeabili e trasparenti all'irraggiamento di colui che abita in noi...."Che ogni desiderio sia messo a tacere e il re della gloria entrerà". *

Enrico D'Errico



* Nel rito bizantino, canto di offertorio della liturgia vespertina del sabato santo.

23 agosto 2013

Nonno Leopoldo




« Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho sofferto perché sono un Italiano, e davvero io sono un Italiano [...] »
(dal discorso di Vanzetti del 19 aprile 1927, a Dedham, Massachusetts)


Oggi è l'anniversario dell'esecuzione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, giustiziati per essere immigrati italiani e soprattutto per essere anarchici.
Oggi ho l'opportunità di ricordare qualcosa riguardante le mie radici: Leopoldo era mio nonno, anzi il mio bisnonno, ed era anarchico.
Non so molto di lui ma è evidente che nel mio sangue scorre qualcosa di suo. 

Il Creatore, per raggiungere gli scopi che si prefigge, utilizza strategie davvero bizzarre e sorprendenti.
Pensate: mia nonna Wanda (si, proprio quella della ricetta col suo nome) era figlia di Leopoldo che, a causa delle sue idee politiche, veniva spesso condotto in carcere e costringeva la sua famiglia a vivere nella povertà; e pensare che lui era anche un avvocato...già, ma col tempo ovviamente aveva perso buona parte della sua clientela: infatti chi si rivolgerebbe volentieri a un legale  anarchico messo spesso in galera? 

Leopoldo era una anarchico un po' "sui generis": amava frequentare il caffé Greco di Via Condotti, luogo di incontro degli artisti e degli intellettuali dell'epoca e si dedicava alla composizione di poesie.
Dai suoi scritti si evince che era uomo colto e di grande sensibilità; quanto però fosse sensibile al fatto che, a causa del suo credo politico, i suoi figli andassero in giro scalzi, questo non so.
So che per un periodo i gendarmi erano costantemente sotto casa sua, nel quartiere Prati, per tenerlo sotto controllo; lui era così pieno di ideali che gli ardevano in petto da tenere addirittura delle conferenze dal balcone di casa! Insomma, sua moglie e i suoi figli erano disperati e Wanda, ormai divenuta una ragazzetta, pare abbia ripetutamente affermato che mai lei avrebbe sposato un uomo coinvolto nella politica!

Ma così non fu.
Di questo però ve ne parlerò un'altra volta. 

Enrico D'Errico

Ho fame di Dio 2


continua dal post "Avere compassione verso di sé: uno sguardo diverso sui disturbi alimentari".

Nei post precedenti abbiamo cominciato ad approfondire il problema della “gastrimargia”e cioè “la gola”. Quello dei disturbi alimentari è un problema estremamente diffuso, molto di più di quanto non siamo portati a pensare. In genere crediamo che siano affetti da tali disturbi solo gli obesi, gli anoressici o i bulimici: attenzione, questo è un modo di vedere molto limitato e limitante. Secondo me, e credo di avere l’autorevolezza per poterlo affermare, il problema della gola riguarda la stragrande maggioranza del genere umano.



H. Bosch   "La gola"
particolare da "I sette peccati capitali



“Esistono macchinazioni progettate a danno dell’umanità che sono così macroscopiche da essere ritenute irreali. Le forze dell’ombra tengono sotto controllo miliardi di persone per nutrirsi della loro energia e perseguire i propri perversi obiettivi. Una massa enorme di persone che dormono il sonno della coscienza è cibo per angeli deviati. Ma quali sono i mezzi più comunemente utilizzati dai demoni per tenere addormentate le persone? Sono molti ma, come affermano anche tutti i padri della chiesa, uno dei più insidiosi ed efficaci è proprio il cibo.  I governi di ogni paese sono ovviamente sotto il completo controllo di forze invisibili che li spingono ad approfittare della loro posizione per soddisfare la sete di potere e le brame più materiali. Il profitto nell’industria è diventato l’unica cosa importante, ed è lecito ottenerlo ad ogni costo.
In qualità di esperto di alimentazione naturale credo di poter affermare che il cibo comunemente venduto nei supermercati sia veramente di scadentissima qualità e in grado di far ammalare gravemente le persone. Negli ultimi venti anni ho avuto l’opportunità di osservare le condizioni di salute di tanta gente e ho notato che le persone con le patologie più gravi spesso si alimentano in modo indecente. Se mangi in una maniera che non rispecchia le esigenze stabilite per te dal Creatore, il tuo corpo si ammala; sarà quindi facile e automatico lamentarsi per la propria cattiva sorte, e ciò peggiorerà parecchio le cose. Se cominci poi ad assumere farmaci chimici allora puoi considerarti spacciato. Prima o poi finirai all’ospedale dove ti daranno ancora più medicine e ti nutriranno col peggior cibo possibile; con un mix del genere sopravvivere è un vero miracolo. Ti sembra una visione pessimista? A me sembra solo ciò che sta avvenendo.” (dal capitolo 4 della prima parte del libro “Io sono un’anima” presto disponibile in formato ebook)

I maestri di ascesi del deserto misero la gola al primo posto fra le passioni. I comportamenti disturbati nel campo alimentare sono spesso causati da traumi al momento dello svezzamento che lasciano impronte indelebili nell'anima dell'individuo e segni inconfondibili di regressione nell'età adulta. Il fenomeno più frequente di questi comportamenti alterati è la compensazione attraverso il cibo di vuoti interiori e pulsioni d'angoscia.
I disordini fisici sono segno di disordini della psiche, ma assai più spesso di malattie dello spirito.

I padri della chiesa videro una connessione molto stretta tra la vita spirituale e il cibo; già secoli fa essi affermavano che la quantità e la qualità dei cibi ingeriti influenzano le sostanze dei liquidi, gli umori, del nostro corpo, e che essi, a loro volta, influenzano la psiche. Oggi anche la scienza conferma le teorie di questi asceti.

Osservare il modo di mangiare di una persona ci aiuta a scoprire molte cose di lei. La passione non coincide affatto col bisogno di alimentarci. Il bisogno di cibo è bisogno: esso degenera in passione quando il desiderio sovrasta ogni altro desiderio, soggiogando la coscienza. Quando il bisogno diventa passione non c'è più alcuno spazio per Dio. 

Il modo di nutrirsi di un individuo ci rivela la sua capacità di prendere le distanze dalle proprie sicurezze e dalle proprie angosce, dall'amore di sé e dal suo piacere solitario, ci parla insomma della sua capacità di essere libero.

La prima tentazione demoniaca, all'origine di tutto, quella che fa perdere all'uomo il senso della propria esistenza e la propria identità *, è il cibo o, più precisamente, il modo di assumerlo.

E l'uomo non si limita a mangiare solo quando è seduto a tavola. L'essere umano è ciò che mangia, vive mangiando: l'uomo è un essere che ha fame.

(La parola "peccato", tradotta dall'ebraico e dal greco,  significa letteralmente mancare il bersaglio, perdere l'orientamento)


Enrico D'Errico


Continua nel prossimo post "L'uomo è un essere che ha fame".




21 agosto 2013

Avere compassione verso di sé: uno sguardo diverso sui disturbi alimentari


continua dal post "Ho fame di Dio 1"

Credo sia tempo di smettere di condannare le qualità che per nostra natura ci appartengono. Se ci giudichiamo severamente i nostri corpi tenderanno per un po’ a obbedire alle nostre limitazioni, ma poi si ribelleranno e ci spingeranno non solo a riprendere la condotta precedente ma anzi una ancora peggiore. Sono assolutamente sicuro di quanto dico.
Smettete di condannarvi: il Padre non fa così nei vostri confronti, perché dunque dovreste farlo voi? Osservate con tenerezza le vostre tendenze più grossolane, i vostri “peccati”. Trovate il modo di trasformare nel tempo, quell‘azione in una simile ma a un livello leggermente più elevato. Questo è il naturale processo di santificazione cui possiamo sottoporci; un’alchimia sapiente e amorevole trasformerà pian piano ogni nostra qualità, nella corrispondente qualità superiore.

Così, parlando di cibo, se comprendete con sincerità e coraggio che siete dei ghiottoni inveterati, se accettate con onestà che avete un problema che riguarda l’ingordigia, quella che i padri della chiesa chiamavano “gastrimargia”, anziché reprimervi con violenza, magari per diventare poi anoressici o bulimici, perché non cercate di darvi delle risposte? Perché non tentate veramente di assumervi la vostra responsabilità?
Attenti: il digiuno forzato può essere in molti casi una punizione che volete infliggervi, qualcosa che potrebbe portarvi alla morte per denutrizione o a riprendere a mangiare ancor più di prima, per poi vomitare, rimangiare e vomitare ancora……Insomma, un incubo: ecco, siete arrivati all’inferno!
Siete contenti? Lo avete fatto voi, fuggendo dalle vostre “respons-abilità”, mancando di fare appello alla vostra personale capacità di rispondere alle domande che l’esistenza vi pone. Le condizioni del vostro corpo sono come un foltissimo elenco di domande cui non avete mai tentato di dare risposta.

Come cercare quindi di interpretare al meglio il problema della gastrimargia? 
Tutto ciò che esiste in natura è fatto da Dio, è impregnato del Suo Spirito: è in realtà Dio stesso incarnato.  Essendo ovviamente anche l’uomo fatto da Dio, il suo naturale bisogno è ricevere nutrimento dal Padre. Istintivamente siamo continuamente alla ricerca di Dio, e la principale pulsione ad alimentarci è quella di voler “mangiare il Padre”.
Vi ricordate che Gesù, appena nato, fu posto in una mangiatoia? Il messaggio esoterico era chiaro, e voleva proprio dire “mangiatemi”.



Naturalmente però la stragrande maggioranza del genere umano non comprende il perché si alimenta, non sa che lo fa soprattutto per ricevere lo Spirito di Dio nel proprio corpo. Nelle società più “civilizzate” si sono diffuse numerose malattie nell’ambito dell’alimentazione, perché spesso coloro che sono più ricchi, colti ed intelligenti, arrivano a pensare che per vivere non ci sia bisogno di Dio. Si sentono non amati dai genitori e poi dal coniuge, creando nel tempo una netta separazione tra sé e il Padre. Così, essi arrivano a percepire un terribile vuoto interiore che non sono assolutamente in grado di interpretare.
Peccato che anche pochissimi medici capiscano che quella non è altro che fame di Dio.

Enrico D'Errico

……continua nel post “Ho fame di Dio” 2