30 marzo 2020

RIFUGIARSI IN DIO




Quando c’è molto rumore intorno, è necessario prendersi ancor più tempo per stare con se stessi e restare nel proprio centro; lì c’è pace, fiducia e sicurezza.
Intorno c’è ansia, preoccupazione e una quantità enorme di informazioni false, adatte per le orecchie degli uomini comuni che vogliono ascoltare solo favole e menzogne.
Ma molti di noi stanno acquisendo orecchie per sentire, orecchie capaci di riconoscere il suono della verità nella massa di informazioni fuorvianti.
Stiamo comprendendo che, ancora una volta, la terra, il nostro bel pianeta, sta dimostrando il suo bisogno di ripulirsi, scrollarsi di dosso coloro che non si prendono cura di lei. 
In questo non v’è alcunché di crudele: voi ve la terreste sul groppone una persona gretta e malvagia, una persona che vi insulta e vi disprezza, che vi vomita e defeca addosso, che attenta di continuo alla vostra vita? No, non credo che la sopportereste a lungo.
Naturalmente è necessario mostrare compassione per coloro che soffrono a motivo della pandemia estesamente diffusa sul pianeta, ma davvero non possiamo lasciarci prendere dal panico; per molti di noi c’è un compito preciso da svolgere: sguainare le nostre spade e squarciare il velo di maya, distruggere il bozzolo letargico in cui sono avviluppate le menti della gente.
Come sapete mi dedico spesso, ormai da molti decenni, alla lettura delle sacre scritture.
Oggi vi guiderò in un percorso col quale tenterò di dimostrare come l’attuale comportamento della terra nei confronti dei suoi scriteriati abitanti non sia affatto una novità.

Cominciamo con il diluvio universale: perché si verificò?
Il capitolo 24 del vangelo di Matteo si riferisce agli avvenimenti che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi e i versetti da 37 e 39 affermano: 

“Come furono i giorni di Noè,così sarà la presenza del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni prima del diluvio mangiavano e bevevano, gli uomini si sposavano e le donne erano date in moglie, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e li spazzò via tutti, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo.”

La Natura o Dio, se preferite, attuò una separazione tra coloro che avevano a cuore il pianeta e coloro che invece si comportavano in maniera insensata o pensavano solo ai propri affari.

Anche il racconto di Luca ci parla di una situazione analoga: molti furono spazzati via, altri sopravvissero. Nel suo vangelo viene fatto un parallelo tra il diluvio e l’episodio di Sodoma; ecco i versi da 26 a 30 del capitolo 17: 

“Inoltre come avvenne ai giorni di Noè, così sarà ai giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, gli uomini si sposavano e le donne erano date in moglie fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e venne il diluvio e li distrusse tutti. Lo stesso accadde ai giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano e costruivano. Ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma, dal cielo piovvero fuoco e zolfo, e furono tutti distrutti. Così sarà anche nel giorno in cui il Figlio dell’uomo sarà rivelato.

Separazione

Matteo 24:40-41 
“Allora due uomini saranno in un campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne lavoreranno a una macina a mano: una sarà presa e l’altra lasciata.”

Luca 17:31-35
“Quel giorno chi è sulla terrazza non scenda in casa a prendere le sue cose, e similmente chi è nel campo non torni indietro. Ricordate la moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, ma chi la perderà la salverà. Vi dico che quella notte due persone saranno in un letto: una sarà presa, l’altra sarà lasciata. Ci saranno due donne a macinare alla stessa macina: una sarà presa, l’altra sarà lasciata.”


Essere vigilanti e pensare al tipo di persone che siamo

Seconda lettera di Pietro, capitolo 3:
“…molto tempo fa c’erano i cieli e una terra posta solidamente fuori dall’acqua e fra le acque mediante la parola di Dio, e mediante quelle cose il mondo di allora subì la distruzione quando fu inondato dall’acqua. Ma mediante la stessa parola i cieli e la terra attuali sono riservati al fuoco, custoditi fino al giorno del giudizio e della distruzione degli empi. Comunque, non sfugga alla vostra attenzione, miei cari, che per Dio un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno. Dio non è lento ad adempiere la sua promessa, come pensano alcuni, ma è paziente con voi perché desidera che non sia distrutto nessuno ma che tutti giungano al pentimento.  Tuttavia il giorno di Dio verrà come un ladro; in quel giorno i cieli scompariranno con un gran fragore, ma gli elementi, essendo incandescenti, si dissolveranno, e la terra e le opere che sono in essa saranno portate allo scoperto.
Dato che tutte queste cose devono quindi essere dissolte, pensate a che tipo di persone dovete essere, persone che hanno una condotta santa e compiono opere di devozione a Dio, mentre aspettate e tenete bene a mente la presenza del giorno di Dio, mediante il quale i cieli saranno distrutti nelle fiamme e gli elementi si scioglieranno per l’intenso calore. Ma secondo la sua promessa noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, e in questi regnerà la giustizia.”

Matteo 24:42. 
“Vigilate, dunque, perché non sapete in quale giorno verrà il vostro Signore.”


Concludendo questo articolo devo dirvi che io non ho alcun dubbio sul fatto che proprio adesso si stia verificando una separazione tra coloro che si stanno svegliando, che stanno aprendo il proprio cuore e coloro che invece stanno dimostrando crudeltà verso il prossimo e la terra, immergendosi sempre più nel sonno della coscienza.

Il salmo 37, infine, è denso di informazioni confortanti e preziose per coloro che fra noi stanno provando timore:
Versi 1 e 2: 
Non indignarti a causa dei malvagi, e non essere invidioso di quelli che fanno ingiustizia.
Poiché si seccheranno rapidamente come l’erba, e come la nuova erba verde appassiranno.
Verso 3:
Confida in Dio e fa’ il bene; risiedi sulla terra e agisci con fedeltà.
Verso 5: 
Affida a Dio il tuo cammino e confida in lui, ed egli agirà in tuo favore.
Versi da 7 a 11:
Attendi Dio in silenzio; aspettalo fiducioso. Non indignarti per coloro che riescono nei loro inganni. Allontana l’ira e abbandona il furore; non indignarti e non fare il male, perché i malvagi saranno spazzati via, ma quelli che sperano in Dio erediteranno la terra.
Ancora un po’ e i malvagi non ci saranno più; guarderai verso il luogo in cui erano, e non li troverai. Ma i mansueti erediteranno la terra e proveranno immensa gioia nell’abbondanza di pace.

A me pare che il quadro sia assolutamente chiaro e non ci sia altro da aggiungere, non vi sembra?

27 marzo 2020

ACEDIA


Più triste della tristezza, “l’acedia” è quella forma particolare della pulsione di morte che introduce il disgusto e la stanchezza in tutti i nostri atti. Conduce alla disperazione, talvolta perfino al suicidio.
Nel linguaggio contemporaneo, parleremmo di depressione o di melanconia nell’accezione clinica del termine. Gli antichi Padri la chiamavano anche “il demone di mezzogiorno” e descrivevano con precisione quello stato in cui l’asceta, dopo aver conosciuto le consolazioni spirituali dell’inizio e il combattimento ardente della maturità, rimette in discussione tutto il suo cammino. È il grande dubbio: “Non avrò esagerato? A che serve tutto questo tempo passato nel deserto?” 
Non si prova più alcun piacere nella liturgia e negli esercizi spirituali e Dio appare come una proiezione dell’uomo, un fantasma, un’idea frutto di umori infantili; meglio allora lasciare la solitudine, essere utile nel mondo, fare qualcosa. Qualche volta “il demone di mezzogiorno”        inciterà l’uomo casto e sobrio a recuperare il tempo perduto nel campo della sessualità e delle bevande forti.

Anche Jung, nel suo processo di individuazione, ha descritto bene quel momento di crisi in cui l’uomo, spesso verso la quarantina, rimette in questione la sua vita. È un periodo in cui si può manifestare con violenza il ritorno di ciò che è stato represso, ma può essere anche il momento chiave di un passaggio verso una realizzazione più alta. Ai valori “dell’avere” si sostituiscono I valori “dell’essere” i quali orientano ormai la vita dell’uomo non più verso l’affermazione dell’ego ma, al contrario, verso la sua relativizzazione e la sua integrazione nell’archetipo della totalità che Jung chiama il Sé. Questo periodo è caratterizzato particolarmente da depressione. Tutti gli antichi sostegni o le antiche sicurezze vengono a mancare e niente sembra sostituire il bell’edificio crollato; se si cerca un aiuto o un conforto, ciò non fa che accrescere la disperazione e il sentimento di totale incomprensione al quale pare di essere condannati. 
I Padri del deserto raccomandano di pregare molto per quelli che sono colpiti da acedia: non si può fare altro. Consigliare il lavoro manuale non è poi di grande aiuto. Occorre tuttavia occupare la mente in mansioni semplici. Vivere il momento presente senza aspettare nulla né dal passato né dall’avvenire. “Ad ogni giorno basta la sua pena”. Al culmine dell’angoscia si tratta di tenere duro.  È il momento della fedeltà. Amare Dio non è più sentire che lo si ama, ma volerlo amare. È anche entrare nel deserto della fede. Si crede perché “si vuole” credere. I soccorsi della ragione sono come stampelle già bruciate nel fuoco della fatica e del dubbio. È il momento della maggiore libertà, in cui si può scegliere Dio o rifiutarlo.
È stato il demone  dell’acedia che si è impadronito di Giuda e di Pietro nel momento del loro tradimento? Molto probabilmente. Esso ha vinto Giuda e lo ha condotto alla disperazione e al suicidio: Giuda ha dubitato della misericordia di Dio. Pietro invece lo ha vinto in un atto di pentimento. Ha creduto che se il suo cuore lo condannava, Dio era più grande del suo cuore.
L’acedia può condurci all’inferno, nel senso che ci rinchiude in noi stessi. Non esiste più apertura o varco per l’amore. Non esiste più desiderio del desiderio dell’altro.

Di nuovo, I Padri ci ricordano che questa tentazione passerà; dura talvolta più a lungo delle altre, ma come tutto ciò che passa, passerà: non c’è dolore eterno, e colui che resiste deve sapere che questo demone non è seguito immediatamente da alcun altro; dopo la lotta subentra nell’anima uno stato di pace e una ineffabile gioia.

(tratto da "L'Esicasmo" di Jean-Yves Leloup)

20 marzo 2020

IL GIORNO DELL’IRA DELLA TERRA



“Non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno…” recitano i versi di una canzone molto nota negli anni “70: questo è quel che sperano tanto le persone che dormono il sonno della coscienza. Ma il sonno della coscienza genera mostri e mostruosità; la terra, il nostro saggio e bellissimo pianeta, è giunto alla fine di un ciclo in cui ha tollerato per lungo tempo ogni genere di soprusi, violenze, criminalità, guerre tra gli uomini e sfruttamento e abusi nei confronti dell’ecosistema. Come ho detto in un articolo precedente attualmente vengono messe in atto strategie per eliminare coloro che non si prendono cura della Terra; so che non siete abituati a parole così crude e dirette ma sarà meglio che vi diate una scrollatina per uscire dal sonno.
Ecco altre informazioni per voi.

Terremoti ed epidemie
Esistono statistiche dettagliate le quali dimostrano che cataclismi come terremoti, eruzioni o maremoti, sono aumentate grandemente a partire dagli inizi del secolo scorso e che questi eventi sono stati molto più numerosi negli scorsi 150 anni che nel resto della storia documentata.
Ad esempio, in un periodo di 1.059 anni (dall’856 al 1914) fonti attendibili elencano solo 24 grandi terremoti, con 1 milione 973.000 morti. Ma confrontando queste cifre con un’altra lista parziale, troviamo che 1 milione 600.000 persone morirono in soli 63 anni, in 43 terremoti, verificatisi dal 1915 al 1978”.

I Cavalieri dell’Apocalisse
Le epidemie che si stanno verificando nei nostri giorni a livello mondiale dimostrano chiaramente che la profezia riguardo al cavaliere sul cavallo pallido si sta adempiendo. I quattro cavalieri possono sembrare misteriosi e terrificanti, ma non è necessariamente così. La Bibbia e gli avvenimenti della storia moderna ci aiutano a identificare con chiarezza che la loro corsa indica che la terra sarebbe stata colpita da calamità ma che questa può anche significare una buona notizia per coloro che stanno aprendo il loro cuore e si stanno destando dal sonno della coscienza.
Quando è iniziata la cavalcata di questi cavalieri? È da notare che il primo cavaliere, Gesù, inizia la sua corsa quando riceve una corona (Rivelazione 6:2). Quando è stato incoronato Gesù come Re in cielo? Non quando è tornato in cielo dopo la sua morte. La Bibbia spiega che Gesù avrebbe dovuto aspettare per un periodo (Ebrei 10:12, 13). Gesù spiegò ai suoi discepoli come capire che il periodo d’attesa era finito e che lui aveva iniziato a regnare in cielo: le condizioni del mondo sarebbero decisamente peggiorate. Ci sarebbero state guerre, carestie e pestilenze (Matteo 24:3, 7; Luca 21:10, 11). Subito dopo la prima guerra mondiale scoppiata nel 1914, divenne evidente che per l’umanità era iniziato quel periodo turbolento che la Bibbia chiama “ultimi giorni” (2 Timoteo 3:1-5).

IL CAVALIERE DEL CAVALLO ROSSO
“Uscì un altro cavallo, color fuoco; e a colui che vi sedeva sopra fu concesso di togliere la pace dalla terra affinché si scannassero gli uni gli altri; e gli fu data una grande spada” (Rivelazione 6:4).
Questo cavaliere rappresenta la guerra. Come viene detto, toglie la pace non solo da alcune nazioni, ma dall’intera terra. Nel 1914, per la prima volta nella storia, scoppiò una guerra mondiale, seguita poi da una seconda guerra mondiale ancora più distruttiva. Si stima che il numero totale delle vittime di guerre e conflitti armati dal 1914 superi i 100 milioni. 
Fino a che punto la guerra caratterizza i nostri giorni? Per la prima volta nella storia, l’umanità sembra essere in grado di sterminare la vita umana. Neanche le cosiddette organizzazioni per la pace, come le Nazioni Unite, sono state capaci di fermare la corsa del cavallo rosso.

IL CAVALIERE DEL CAVALLO NERO
“Vidi, ed ecco, un cavallo nero; e colui che vi sedeva sopra aveva in mano una bilancia. E udii una voce come in mezzo alle quattro creature viventi dire: ‘Una chenice di grano per un denaro, e tre chenici di orzo per un denaro; e non danneggiare l’olio e il vino’” (Rivelazione 6:5, 6).
Questo cavaliere rappresenta la carestia. Qui leggiamo che il cibo sarebbe stato così scarso che una chenice (1,08 litri) di grano sarebbe costata un denaro, ovvero il salario di un’intera giornata nel I secolo (Matteo 20:2). Per lo stesso prezzo si sarebbero potute comprare tre chenici (3,24 litri) di orzo, un cereale considerato inferiore al grano. Come avrebbe potuto una famiglia numerosa sfamarsi con così poco? Le persone vengono quindi esortate a essere parsimoniose nell’usare persino i generi alimentari di prima necessità, ben rappresentati dall’olio di oliva e dal vino, che in quell’epoca erano alimenti base.
Ci sono prove che dal 1914 il cavaliere del cavallo nero è al galoppo? Sì. Durante il XX secolo, circa 70 milioni di persone sono morte a causa di carestie. Secondo un rapporto, “dal 2012 al 2014, 805 milioni di persone nel mondo, circa una su nove, erano cronicamente denutrite”. Un altro rapporto afferma che “la fame miete ogni anno molte più vittime di AIDS, malaria e tubercolosi messe insieme”. Nonostante i molti sforzi sinceri fatti per combattere la fame, il cavaliere del cavallo nero continua la sua corsa.

IL CAVALIERE DEL CAVALLO PALLIDO
“Vidi, ed ecco, un cavallo pallido; e colui che vi sedeva sopra aveva nome la Morte. E l’Ades lo seguiva da vicino. E fu data loro autorità sulla quarta parte della terra, per uccidere con una lunga spada e con la penuria di viveri e con una piaga mortale e mediante le bestie selvagge della terra” (Rivelazione 6:8).
Il quarto cavaliere rappresenta la morte causata da epidemie e altro. Subito dopo il 1914, l’influenza spagnola ha ucciso decine di milioni di persone. È possibile che le persone contagiate siano state circa 500 milioni, più o meno un terzo della popolazione mondiale di quell’epoca.
L’influenza spagnola comunque fu soltanto l’inizio. Gli esperti stimano che durante il XX secolo siano morte centinaia di milioni di persone a causa del vaiolo. Nonostante ricerche mediche mirate, ancora oggi AIDS, tubercolosi e malaria tolgono la vita a milioni di persone.
 Guerra, fame o malattie producono lo stesso risultato: la morte. L’Ades miete vittime inesorabilmente, senza offrire nessuna speranza.

Ma dobbiamo rassegnarci a questa desolazione? Scopriamo cosa promette la Bibbia.
Al posto della guerra, regnerà la pace. Dio “fa cessare le guerre fino all’estremità della terra. Frantuma l’arco e taglia a pezzi la lancia” (Salmo 46:9). Le persone che amano la pace “proveranno squisito diletto nell’abbondanza della pace” (Salmo 37:11).
Al posto della carestia, ci sarà cibo in gran quantità. “Ci sarà abbondanza di grano sulla terra; in cima ai monti ci sarà sovrabbondanza” (Salmo 72:16).

Dice la scrittura di 1 Giovanni 2:17: “Inoltre il mondo passa, come pure i suoi desideri, ma chi fa la volontà di Dio rimane per sempre.” Il Salmo 37:29 lo conferma con queste parole: “I giusti stessi possederanno la terra, e risiederanno su di essa per sempre”.
“Cercate Dio, voi tutti mansueti della terra. Cercate la giustizia, cercate la mansuetudine. Probabilmente potrete essere nascosti nel giorno dell’ira di Geova” (Sofonia 2:3)

In questi tempi di pandemia tutti auspicano il ritorno alla normalità….ma io dico: “No, per carità!”
Normalità è tutto quel che dobbiamo smettere di fare come genere umano, normalità è incoscienza e nefandezze di ogni genere!
Ci stiamo avvicinando a grandi passi ad una nuova età dell’oro; il nostro compito è coltivare la realizzazione di essa nel nostro cuore abbandonando la meccanicità e insegnando il lavoro su di sé a chi ci circonda; così possiamo essere protetti nel giorno dell’ira di Dio e della sua creatura, la terra.

17 marzo 2020

LUPE'


Ogni forma di frustrazione porta con sé un certo grado di tristezza, la “lupé”; ora, la vita cristiana è “gioia e pace nello spirito Santo”.
Se si vuole pervenire a questo stato di pace e di gioia ontologiche e non solamente psicologiche, bisognerà dunque lottare contro la tristezza e, di conseguenza, lavorare sulla frustrazione e sul “senso di vuoto interiore”. 
Essere adulto è “assumere il bisogno”, ma l’ascesi del desiderio sta più nell’orientamento di questo bisogno che nella sua non soddisfazione.
Vivere volontariamente un certo numero di frustrazioni nell’ordine materiale, ma soprattutto nell’ordine affettivo, svuoterà sempre più il monaco fino a quell’infinito che soltanto l’infinito può colmare. “Ci hai fatti per te, signore, e il nostro cuore è inquieto fin quando non riposa in te”. (Sant’Agostino).
La tristezza visita il monaco allorché la memoria gli presenta, come nuovamente desiderabili, i beni o le gioie che volontariamente egli ha lasciato. Sogna una casa, una famiglia, sogna soprattutto di essere riconosciuto e di essere amato.
Lo spazio vuoto di ciò che manca è lo spazio stesso del deserto in cui si è ritirato, ma qualche volta il vuoto lasciato da ciò che manca è troppo grande, il deserto è troppo arido; il monaco non rischia forse di perdere la propria umanità? Egli cercava la gioia ed ecco la croce. 
Quale rimedio per la sua tristezza?
Dapprima gli si chiederà di ritrovare lo “spirito di povertà”. Un ricco è qualcuno a cui tutto è dovuto; un povero è qualcuno che riceve tutto in dono. Nulla ci è dovuto! Noi potremmo non esistere. “Che cosa hai tu che non abbia ricevuto?”
L’amicizia, la felicità, la gioia non ci sono dovute. Lo spirito di povertà dovrebbe rendere il monaco capace non soltanto di assumere le frustrazioni che patisce (e dunque capace di diventare adulto), ma anche di apprezzare le minime cose nella loro gratuità… un raggio di sole, un po’ di pane e di acqua… Poco a poco egli dovrebbe imparare ad accontentarsi – “desidera ciò che hai e avrai ciò che desideri” -  ma questo accontentarsi non è ancora gioia. La gioia si trova nello sperimentare in fondo all’essere che il transpersonale verso il quale il monaco ha rivolto il proprio desiderio dimora qui e ora: “Egli È” e la gioia che può dare nessuno può toglierla.
È chiaro che qui non siamo più nella sfera del sensibile, dell’affettivo o del ragionevole, ma in quella dell’ontologico. Per i Padri, solo quando si è riusciti a fissare con il desiderio la propria gioia in questo fondo ontologico, essa può sprigionarsi in modo duraturo in tutto l’individuo.
Questa gioia, allora, non dipende più dalle cose esteriori, da ciò che ci succede, dalla presenza rassicurante di un oggetto, di una persona, o da circostanze favorevoli; non è più una questione di salute o di umore, ma di fedeltà alla Presenza Increata che abita ogni uomo. È la gioia che prende dimora nel profondo dell’uomo. 
Qui siamo nel transpersonale. Questa gioia non è l’allegria o la gaiezza di un temperamento predisposto naturalmente all’ottimismo e al buon umore, ma la tranquillità profonda di chi incontra l’altro non per colmare i propri vuoti, martedì il piacere di entrare in comunione con la vita che li unisce e li trascende.



10 marzo 2020

ORGE'

La parola “orgé” viene tradotta generalmente con “collera” o con “impazienza”. Nel linguaggio biblico si parla di “Qesôr ‘appaim” che significa letteralmente brevità del respiro. In effetti la collera ci fa perdere il fiato, il respiro si fa affannoso, l’uomo soffoca: è come posseduto.
Evagrio Pontico attribuisce molta importanza al fenomeno della collera. Secondo lui la collera sfigura la natura umana e rende l’uomo simile ad un demonio. Nella lettera 56 è particolarmente esplicito: “Nessun vizio rende demoniaco l’intelletto quanto la collera, a motivo del turbamento della parte irascibile; è detto infatti nel salmo 58, verso 5: ‘la loro collera è simile al serpente’. 
Il demonio non è diverso dall’uomo turbato dalla collera”.
D’altra parte la collera rovina il fegato ed eccita la bile; diventa poi particolarmente pericolosa se è una “collera soffocata”, non manifestata; può portare facilmente all’ulcera. In ogni caso, ci dice Evagrio, essa non mancherà di provocare degli incubi la notte e di turbare il nostro sonno.
Una delle cause della collera proviene dalla nostra difficoltà ad accettare l’altro in quanto tale. Se il prossimo non corrisponde all’immagine che ci facciamo di lui, il nostro spirito si irrita, il risentimento ci rode. È un segno di immaturità (si pensi alle collere dei bambini che vogliono tutto e subito). Possono esservi però delle giuste collere di adulto, ad esempio l’indignazione davanti ad un’ingiustizia. Ma qui non c’è odio e lo scoppio che esse provocano mira a svegliare coloro ai quali sono rivolte per ricondurli sul giusto sentiero.
Quali sono i rimedi alla collera cattiva che rende l’uomo alienato? Prima di tutto il perdono: perdonarci vicendevolmente di essere solo ciò che siamo; in secondo luogo, imparare a respirare, a prolungare Il nostro respiro. Può sembrare un consiglio solo dettato dal buon senso, ma in realtà è anche un esercizio spirituale. Nel linguaggio biblico, per dire che “Dio è paziente”, si dice “che ha delle grandi narici”; è un’immagine psicosomatica per esprimere la calma e la pazienza del Signore.
”Che il sole non tramonti sul vostro stato d’irritazione!” (Efesini 4:26); è probabile che gli antichi monaci, prima di coricarsi la sera, prima di perdonare I loro nemici, si dedicassero a qualche esercizio respiratorio, insistendo sulla espirazione per scacciare ogni pensiero di collera, allargando così le loro narici per acquistare una pazienza di tipo divino. Comunque la grande qualità del Monaco, secondo Evagrio, è  la dolcezza (prautés), ossia l’opposto della collera, ed è ciò che distingueva Mosè e Gesù dagli altri uomini. Una dolcezza che non era languore o debolezza,  bensì manifestazione della perfetta padronanza dello Spirito Santo sulla parte irascibile dell’essere, sempre pronta a irritarsi. Vi è una dolcezza transpersonale che è più di una semplice gentilezza di carattere: è il riflesso dell’armonia, di tutte le facoltà fisiche e psichiche dell’uomo raggiunte attraverso il “pneuma”.


2 marzo 2020

PORNEIA

Si tratta di un cattivo equilibrio psicofisico che polarizza ogni nostra energia a livello genitale. Una certa quantità di pulsioni erotiche sommergono la personalità e forti tensioni sessuali trovano il modo di scaricarsi solo nella masturbazione o nell’atto sessuale.
La porneia, a livello più profondo, è trattare il proprio corpo o il corpo dell’altro come una cosa, come materia senza anima, come oggetto di piacere e non come soggetto di amore.
Per i Padri, la castità è molto più che semplice continenza. Si tratta di un atteggiamento di rispetto nei confronti di se stessi e degli altri;  è non posare su di essi lo sguardo che si posa sulle cose; palparli con le mani o selezionarli con la mente è un atteggiamento identico. La castità restituisce alla persona il suo mistero, la sua alterità non “consumabile”; la persona è un essere di comunione, di relazione, non un essere di consumo.


Evagrio Pontico propone un consiglio pratico per quelli che soffrono di queste pulsioni genitali dolorose e ossessive: bere di meno poiché, secondo la medicina antica, l’eccitazione sarebbe causata da una eccessiva umidità nel corpo. *
Oltre il lavoro manuale che procura una sana fatica, egli ricorda l’importanza della meditazione sulle Sacre Scritture. Poiché il cervello è il nostro principale organo sessuale, si tratta di sostituire un pensiero di lode ad un pensiero ossessivo. In quei momenti difficili non si tratta di lasciare la mente vuota ma di occuparla con l’invocazione del nome di Dio, di un canto o di qualsiasi altra preghiera.
D’altronde, la vera castità non si ottiene avendo paura di amare ma, al contrario, amando di più! Ossia rispettando l’altro nel suo carattere transpersonale, ”a immagine e somiglianza di Dio”, nella sua alterità che non deve essere svilita dai nostri desideri carnali.


*Ippocrate, De generatione, passim