29 agosto 2014

L’ORGOGLIO E' PRIMA DEL CROLLO

continua da  “Fuoco attira fuoco” pubblicato su fb
https://www.facebook.com/groups/risveglioroma/ il 24 agosto c.m.



Vi prego di prestare a quest’articolo più che la solita attenzione perché esso tratta di informazioni della massima importanza.

Molti di noi sono sulla strada del Risveglio ed è chiaro che siamo anime; noi siamo Dio e ci frammentiamo in unità che si incarnano, vita dopo vita, per fare esperienza di ciò che siamo passando attraverso ciò che non siamo. Nel processo dell’incarnazione giungiamo a dimenticarci di essere Dio, il Padre e ci identifichiamo sempre più col corpo scelto per fare esperienza sul piano della materia. Giunti nel punto più lontano dalla presenza di Dio – ciò che nella parabola del figliol prodigo viene chiamato “porcile” - la grazia divina ci viene finalmente in soccorso riportandoci a casa.

Per quanto grandi possano essere le prove alle quali ci sottoponiamo/veniamo sottoposti, esse non sono mai oltre ciò che siamo in grado di sopportare e superare. (1° Corinti 10:13)
Quando dopo un lungo lavoro su di sé, fatto d’impegno costante di osservazione, studio di testi sacri ed esoterici, cura di sé mediante buon cibo sia fisico che spirituale come musica, film o altro materiale ispirato, dopo essere forse stati in contatto diretto con coloro che già hanno raggiunto il Risveglio, dopo che ci siamo dedicati con costanza e fiducia incrollabile alla preghiera, ecco finalmente che la Grazia del divino arriva e, impregnandoci del suo calore salvifico,  scioglie il ghiaccio che avviluppa il nostro cuore: esso finalmente è libero di espandersi e aumentare la nostra capacità di amare e abbandonare al paura.

Esiste però un pericolo: il dimenticare che comunque, qui sulla terra, siamo in fondo solo strumenti di espressione del divino.
Esiste un equilibrio sottile che a volte si spezza e l’ago della bilancia pende verso l’orgoglio, l’arroganza, la presunzione.
Il senso di lavoro comunitario, tanto raccomandato dai Maestri, si perde, viene abbandonato a favore dell’indipendenza, dimenticando che siamo Uno e non è proprio possibile essere separati dal tutto che siamo. Se non interviene qualcuno o qualche fattore a destarci dal mondo illusorio che ci siamo creati, si arriva a sperimentare ciò che nelle scuole di Risveglio viene chiamata “doppia cristallizzazione”, stadio in cui si presume di non aver bisogno degli altri e ci si arrocca in se stessi. Coloro che desiderano aiutarci a uscire da questa pericolosissima condizione sono visti come nemici, come spregevoli creature che non capiscono nulla e non vedono quanto siamo “belli, potenti e divini”.

Questo discorso vale singolarmente per ogni essere umano ma, come ho introdotto nell’articolo “Fuoco attira fuoco”, si applica anche a livello delle nazioni.
Gli Stati Uniti d’America sono uno dei massimi esempi di orgoglio e indipendenza mai verificatisi sul pianeta. Come ai tempi della torre di Babele (Genesi cap. 11) quando Dio intervenne per confondere le lingue di coloro che stavano costruendo il loro totem idolatrico per gloriare se stessi e la loro presunta potenza, anche le torri gemelle a Manhattan, il più importante centro economico di potere al mondo, sono state costruite con il medesimo scopo: dimostrare la propria supremazia e intimidire le nazioni avversarie.
Il capitolo di Genesi dice: “Ora dissero: “Suvvia! Edifichiamoci una città e anche una torre con la sua cima nei cieli, e facciamoci un nome celebre, affinché non siamo dispersi su tutta la superficie della terra”.

Secondo tradizioni come il Feng-shui o la Filosofia macrobiotica, esistono due forze antagoniste e complementari definite Yin e Yang. Quando una di esse prevale troppo sull’altra, l’Esistenza deve per forza ricreare equilibrio. Manhattan è un’isola, una terra “isolata”, separata; una porzione di pianeta in cui si è venuto a creare un enorme scompenso a favore dell’energia Yang, di calore, di fuoco. Simbolicamente parlando, è come se il terreno dell’isola fosse stato spremuto, sottoposto a pressione simile a quella che crea l’innalzamento delle montagne; questo è ciò che ha generato l’edificazione delle twin towers, potente totem avente lo scopo di intimidire e creare sudditi, uomini automi: in definitiva nuovi schiavi ubbidienti!


…prosegue in “L’orgoglio è prima del crollo 2”

27 agosto 2014

SONO CIO' CHE PENSO


Mi accingo a scrivere questo brevissimo articolo dopo essermi reso conto che ciò che ho pubblicato ieri sulla pagina fb https://www.facebook.com/groups/risveglioroma/  
in merito al latte e al formaggio si presta a fraintendimenti e può generare malcomprensione. 
Come già vi ho detto numerose volte la mia formazione di base si è sviluppata, per alcuni decenni, nel movimento macrobiotico. Tutti i miei insegnanti e amici appartenenti a esso si ostinano a pensare unicamente che 
SIAMO CIO’ CHE MANGIAMO. 

Ma è importante ricordare ancora una volta che ogni cosa è sempre vera e falsa al tempo stesso. Se non ragioniamo secondo questo concetto rischiamo di non comprendere la verità ma di vedere le cose in modo unidirezionale. Solo elevando il nostro punto di vista possiamo avere una visione più ampia e corretta di ogni aspetto della vita.

Effettivamente ognuno di noi costruisce costantemente i propri corpi con ciò che mangia; questo è il processo mediante il quale noi plasmiamo il veicolo con cui, come anime, ci muoviamo sul piano della materia.

Ma è il pensiero che governa il processo.
Se io sono Dio, il Creatore - ed è ormai evidente a molti di noi che è così - quel che penso di me plasma la mia realtà. Quasi nessuno fra i macrobiotici riesce a valutare le cose secondo questo criterio e continuano a pensare che masticando centinaia di volte un boccone di riso bollito – cosa che peraltro non avete idea quanto possa essere davvero rigenerante! – riusciranno a risolvere ogni loro problema di salute. Ma dal momento che nel loro programma mentale continuano a esistere pensieri d’indegnità, ricordi di traumi passati che invadono anche il loro campo emotivo, riescono a evitare la malattia solo temporaneamente.
Infatti tra coloro che seguono il movimento macrobiotico la percentuale di individui che muoiono di cancro è più elevata che all’esterno e, incredibile a dirsi, questo accade soprattutto agli insegnanti.

Enrico D'Errico
 egosumanima


24 agosto 2014

Da "La Vera Gioia"

da Seneca

Non il silenzio esterno, 
ma il placarsi delle passioni da la vera quiete.

"Che io muoia, se il silenzio è tanto necessario come sembra al raccoglimento e allo studio!
Ecco, mi circonda da ogni parte un chiasso indiavolato: abito proprio sopra uno stabilimento balneare. Immàginati ora ogni sorta di voci che possano frastornare le orecchie..."






22 agosto 2014

IL MAESTRO

Osservarsi è meraviglioso.
All’inizio questo Lavoro su di sé è decisamente faticoso e necessita di sforzo e impegno costante; spesso ci infastidisce il fatto di vedere che riusciamo a focalizzarci su noi stessi solo per pochi momenti al giorno, e ci scoraggiamo. 
Ma lamentarsi ci fa perdere proprio l’energia che serve per osservarci: ecco quindi il circolo vizioso in cui intrappoliamo noi stessi.

A volte però col tempo riusciamo a gestire meglio le nostre emozioni inferiori, quindi la presenza aumenta e ci ricordiamo di noi stessi sempre più frequentemente.
Continuando a lavorare in maniera indefessa, un bel giorno la grazia scende su di noi a ridestarci finalmente dal sonno.
Naturalmente ciò non significa che chi è risvegliato non abbia più bisogno di osservarsi: restano - e ci saranno sempre – zone d’ombra su cui portare luce, meccanismi da stanare, caratteristiche da alchimizzare.



Oggi il Maestro mi ha ripresentato un vecchio compito che avevo riconsegnato in bianco, irrisolto: riguarda la relazione con Francesco, mio padre.
Parlare, comunicare con lui mi riusciva molto difficile; io tentavo ripetutamente di instaurare spazi e tempi in cui potergli parlare, aprirgli il mio cuore affinché potesse conoscermi e di conseguenza guidasse il mio cammino. Ma il muro del suo giudizio su di me era irremovibile; era impossibile scalfire la sua costante determinazione a mostrare il suo disprezzo e la disistima per quel che ero e ciò che facevo.
Mi chiusi in me stesso sempre più e ormai i nostri contatti erano sparuti e in genere utilizzati solo per litigare. Soffrivo molto e dentro me crescevano di giorno in giorno l’acrimonia e l’amarezza. Da un lato sentivo presente in profondità la mia missione ma non sapevo come liberarmi dalla morsa dell’angoscia generata dal pesante giudizio di mio padre. 
I miei talenti erano già emersi in modo evidente ma mi sentivo costretto a esprimerli quasi di nascosto, come un ladro, come uno che non fa quel che dovrebbe per essere accettato dalla famiglia e dalla società.

Francesco, come sapete, faceva il notaio e certo gli era difficile stimare un figlio poeta, scrittore e musicista; non corrispondevo per nulla al suo modello ideale per me: percorso di studi brillante, laurea in legge e quindi una carriera nella magistratura, oppure uno studio legale o notarile.
La distanza fra noi era molto grande e ormai, quando lui a 75 anni si ritirò in pensione, non avevo neanche voglia di andarlo a trovare per sapere come stava.
Mamma Ornella – Tagliagambe di cognome!!! – ovviamente aveva espletato per tutta la vita il suo “sacro compito” di segare le gambe ai componenti della sua famiglia e vessava il marito in continuazione. Il lavoro di prendersi cura di lui era svolto da tre persone, incaricate e pagate da lei: un badante, un autista-giardiniere-stalliere tuttofare, una domestica.

Ma… vi dicevo del Maestro che ti ripresenta il compito….
A volte, quando ormai la capacità motoria di papà si era ridotta notevolmente, in assenza degli aiutanti incaricati, mi capitò di dovere per forza farlo camminare, nutrire e lavare. Sapeste quanto mi pesava quel compito e come mi fosse difficile manifestargli premura e interesse!
Tentavo di trovare ogni scusa possibile per non andare a casa dei miei e un giorno mio padre morì lasciando dentro me rimorsi e un compito che non avevo saputo risolvere.

Ecco, oggi, in un lampo di comprensione lacerante e gioiosa, ho visto con chiarezza che questo compito mi è stato riproposto e stavolta lo sto risolvendo con successo. Come? Ora ve lo spiego.

Come alcuni di voi sanno sto lavorando per una persona che mi ha incaricato di insegnarle a prendersi cura di sé; lo sto facendo tramite l’alimentazione e anche attraverso conversazioni riguardanti l’osservazione. La situazione però è più complessa del previsto in quanto in casa sua vive anche il padre, molto anziano e alcolista da almeno 60 anni.
Oltre che svolgere i miei compiti pattuiti mi sono trovato a dovermi incaricare di gran parte dei lavori domestici, la cura dell’orto, del pollaio e il taglio del fieno. Svolgo questi lavori con fatica ma al tempo stesso sono molto gioioso di rendermi utile e di imparare tante nuove cose; ho vissuto in campagna per molti anni e amo questo genere di vita.
Ora a tutto quel che faccio si è aggiunto pure il prendermi cura del padre anziano ed è proprio in questa gravosa mansione che ho visto con stupore che “Il Maestro”, l’Esistenza, il divino, mi hanno riproposto a distanza di molti anni il compito che, avendo rinunciato ad occuparmi di Francesco, era necessario svolgessi e risolvessi.

Ogni volta che preparo e servo il pasto al padre della mia cliente, ogni volta che gli ricordo di prendere le medicine o stiro le sue camicie, mi sembra di lavorare come se lo stessi facendo direttamente per il mio babbo. Allora il tempo e lo spazio scompaiono, insieme alla fatica che i miei corpi stanno sperimentando più che mai.
So che sto sciogliendo un nodo karmico, so che sto liberando il mio gruppo familiare di un problema che si era incistato e cronicizzato da molte generazioni.

Sono fiero di me e grato al Maestro che non si è dimenticato di ripresentarmi il mio compito.

Cogliete al volo ogni opportunità la Vita vi porga lungo il cammino; non desistete mai dal Lavoro su di voi, continuate a scovare le vostre debolezze, gli aspetti della personalità più fragili, le qualità ancora grossolane e, ogni qualvolta l’Esistenza vi presenti ancora i compiti che avete riconsegnato in bianco, accettateli e risolveteli senza indugio:
osservarsi è meraviglioso.

Enrico D’Errico

 egosumanima

9 agosto 2014

Il Fuoco divora le vecchie forme


Nel post dello scorso 27 maggio ho parlato della straordinaria opportunità per il genere umano di abbandonarsi alla speciale energia attualmente in circolazione, in grado di divorare le vecchie forme e renderci idonei a superare questo particolare momento di passaggio. 

Ma una delle difficoltà maggiori in tal senso è la nostra antica ostinazione, ormai cronicizzata, di opporci con tutte le forze disponibili alla corrente generata dall'Evoluzione: il Padre ora sta "affrettando" e chiedendo a gran voce il nostro rientro a Casa. Tutti - o quasi - ci troviamo, secondo la parabola del figliol prodigo, nel porcile, e cioè il luogo idealmente più distante da Dio. (Luca 15:11-23)

Mentre invero non ci siamo mai mossi da Casa, ci siamo identificati a tal punto con il corpo scelto per far esperienza sul piano fisico che abbiamo scordato di aver ideato noi stessi questa "farsa tragicomica". Ognuno è chiuso nella sua storia personale, nelle sue presunte difficoltà, ben avviluppato nel proprio bozzolo letargico.

Ormai neanche ci rendiamo conto che tutti i dolori psico-fisici che proviamo sono generati soltanto dall'attrito provocato dalla resistenza che facciamo alla spinta evolutiva.
Tutti i nodi stanno venendo al pettine: "evviva!"... dovremmo esultare di gioia per il forte calore del fuoco che divora le forme vecchie come i nostri attaccamenti, le convinzioni errate, le convenzioni sociali, religiose e sociali che stanno cadendo una dopo l'altra!

Anche il Pianeta su cui poggiano i nostri piedi si sta sgretolando e sciogliendo molto velocemente: le piogge cadono in misura quasi senza precedenti, i monti crollano, il terreno si sgretola franando ovunque, in particolari modo in Italia.

Cessare di sforzarvi di non svegliarvi; smettete di resistere al Fuoco che tutto divora. Approfittate proprio di questo calore per permettere al ghiaccio dei vostri cuori di sciogliersi, né più né meno di quello dei ghiacciai millenari delle calotte polari.

Se uno sforzo dovete fare sia quello, come guerrieri baldanzosi e impavidi, di cercare "la porta stretta" ed entrarvi ad ogni costo. Luca 13:24 dice infatti di "sforzarsi con vigore", mentre devo dire - mi pare - che la maggioranza di voi ancora cerchi di evitare le fatiche derivanti dall'osservarsi con impegno e costanza; ancora molti cercano la vita comoda, ad esempio indugiando al mattino per alzarsi il più tardi possibile o indulgendo col cibo a tavola, al bar, a casa o al ristorante. Se vi sembra questo il tempo di non combattere e stare con le mani in mano, sappiate che siete decisamente in pericolo.

Ogni giorno si propone per noi una nuova opportunità di partecipare alla Vita vera e non a quella virtuale cui siete abituati; chiedetevi quanta energia sprecate, di fronte ai vostri pc o smartphone, a collezionare gruppi ai quali non avrete mai tempo di partecipare davvero, a disseminare di "mi piace" questo o quel commento trito e ritrito, questa e quella bella foto di tramonti o fatine newage!

Luca prosegue avvertendoci che "molti sono quelli che tenteranno di entrare ma non potranno". Se non ci identifichiamo con chiarezza e determinazione con l'Anima che siamo, se non mettiamo ADESSO al primo posto il Regno, esiste la concreta possibilità che il Padrone di Casa serri l'uscio mentre noi, credendoci nel giusto e continuando a bussare, restiamo al di fuori dal Paradiso, nel nostro "limbo" di illusione e finta gioia. (Luca 13:25)

Enrico D'Errico                                                                    
egosumanima

2 agosto 2014

Dal vostro inviato speciale.


Proprio buffo questo pianeta chiamato “Terra” !
Vengo adesso adesso da un funerale.
Dopo le telenovelas, il Maurizio Costanzo Show e le liti tragicomiche moderate da sua moglie Maria De Filippi, i funerali sono, parola mia, i più efficaci corsi intensivi di risveglio della coscienza a cui sia possibile partecipare!

Qui dove mi trovo sono tutti montanari e boscaioli, ma dello stampo tradizionale antico non è rimasto più nulla.
Il 90% della popolazione locale vive di ricordi, nostalgia e rimpianto; il restante 10% si è rotta le balle ed è andata altrove a cercar fortuna, portandosi ovviamente dietro la stessa sfiga che ha tentato di sfuggire.
Il 60% di quelli rimasti è dedita all’alcolismo: i tre bar del paese sotto il monte Cadola sono l’unica attività commerciale ancora fiorente…..ma… torniamo al nostro funerale.

Giungo in auto con 10 minuti di ritardo rispetto all’orario stabilito per l’importantissimo evento: tutti i parcheggi intorno alla chiesa sono stracolmi di auto, anche di gran lusso.
Riesco a mollare in qualche modo la mia gloriosa Ford fiesta degli anni 90 e…stracolma era anche la chiesa, impregnata però di un’energia per nulla sgradevole, al di là di ogni mia aspettativa: chissà perché…

Si avvicendano sul podio, (ah no, forse si chiama pulpito), due preti, uno più anziano, poi quello più giovane, il parroco. Quindi è la volta del rappresentante meno ubriaco degli alpini locali; poi la comunione – su un migliaio di persone presenti il desiderio di comunicarsi viene manifestato sì e no da 15 persone – ed infine il passaggio della bara in legno chiaro.

Poi, e questa è di certo la parte più interessante e risvegliante, l’interminabile rito del rappresentare il proprio finto dolore a chi il dolore lo stava provando davvero: la giovane moglie del defunto, morto “stroncato da un improvviso e inaspettato infarto” ad appena 47 anni d’età.

Ah, dimenticavo: qui, oltre alla mescita del vino, l’unica altra attività remunerativa, grandemente remunerativa, è l’impresa locale di pompe funebri. Da quando sono qui, credo non sia trascorso un solo giorno senza che una o due persone siano “passate a miglior vita” .

Da lunedì al venerdì i decessi per infarto; nei w.e. quelli dei giovani che si incollano agli alberi con le loro auto truccate o finiscono nel Piave, il fiume impetuoso che scorre mormorando incessantemente da ben prima della grande guerra.

Ma tutta quest’acqua non basta mai a lavare le colpe di cui si fan carico caparbiamente gli indigeni locali; non bastò nemmeno il disastro del Vajont che, poco lontano da qui, a Longarone, spazzò via, in una manciata di minuti, paesi interi e annegò quasi 2000 persone il 9 ottobre del 1963.

Enrico D’Errico
egosumanima