2 agosto 2014

Dal vostro inviato speciale.


Proprio buffo questo pianeta chiamato “Terra” !
Vengo adesso adesso da un funerale.
Dopo le telenovelas, il Maurizio Costanzo Show e le liti tragicomiche moderate da sua moglie Maria De Filippi, i funerali sono, parola mia, i più efficaci corsi intensivi di risveglio della coscienza a cui sia possibile partecipare!

Qui dove mi trovo sono tutti montanari e boscaioli, ma dello stampo tradizionale antico non è rimasto più nulla.
Il 90% della popolazione locale vive di ricordi, nostalgia e rimpianto; il restante 10% si è rotta le balle ed è andata altrove a cercar fortuna, portandosi ovviamente dietro la stessa sfiga che ha tentato di sfuggire.
Il 60% di quelli rimasti è dedita all’alcolismo: i tre bar del paese sotto il monte Cadola sono l’unica attività commerciale ancora fiorente…..ma… torniamo al nostro funerale.

Giungo in auto con 10 minuti di ritardo rispetto all’orario stabilito per l’importantissimo evento: tutti i parcheggi intorno alla chiesa sono stracolmi di auto, anche di gran lusso.
Riesco a mollare in qualche modo la mia gloriosa Ford fiesta degli anni 90 e…stracolma era anche la chiesa, impregnata però di un’energia per nulla sgradevole, al di là di ogni mia aspettativa: chissà perché…

Si avvicendano sul podio, (ah no, forse si chiama pulpito), due preti, uno più anziano, poi quello più giovane, il parroco. Quindi è la volta del rappresentante meno ubriaco degli alpini locali; poi la comunione – su un migliaio di persone presenti il desiderio di comunicarsi viene manifestato sì e no da 15 persone – ed infine il passaggio della bara in legno chiaro.

Poi, e questa è di certo la parte più interessante e risvegliante, l’interminabile rito del rappresentare il proprio finto dolore a chi il dolore lo stava provando davvero: la giovane moglie del defunto, morto “stroncato da un improvviso e inaspettato infarto” ad appena 47 anni d’età.

Ah, dimenticavo: qui, oltre alla mescita del vino, l’unica altra attività remunerativa, grandemente remunerativa, è l’impresa locale di pompe funebri. Da quando sono qui, credo non sia trascorso un solo giorno senza che una o due persone siano “passate a miglior vita” .

Da lunedì al venerdì i decessi per infarto; nei w.e. quelli dei giovani che si incollano agli alberi con le loro auto truccate o finiscono nel Piave, il fiume impetuoso che scorre mormorando incessantemente da ben prima della grande guerra.

Ma tutta quest’acqua non basta mai a lavare le colpe di cui si fan carico caparbiamente gli indigeni locali; non bastò nemmeno il disastro del Vajont che, poco lontano da qui, a Longarone, spazzò via, in una manciata di minuti, paesi interi e annegò quasi 2000 persone il 9 ottobre del 1963.

Enrico D’Errico
egosumanima