5 agosto 2013

La malattia: una nuova comprensione si fa strada (1)

Questo post è in parte tratto dal 6° capitolo della seconda parte del mio libro "Io sono un'Anima".

Un giorno di non molti anni fa, all'improvviso capii una cosa semplicissima ma di fondamentale importanza ai fini della comprensione della malattia: Io sono di Dio.
Incautamente, con la tipica imprudenza di chi è inesperto, pieno di entusiasmo ne parlai subito con alcuni amici e anche con la mia fidanzata che a quel tempo era una stupenda infermiera che lavora in un ospedale nelle Marche. Sapete quanto interesse riuscii a destare nei miei ascoltatori? Beh, direi una quantità molto vicina allo zero! Purtroppo per me ero ancora molto impregnato dal bisogno che qualcuno riconoscesse il mio valore, e quindi rimasi molto deluso. Adesso me ne fotto altamente di quel che gli altri pensano di me e non mi curo affatto delle conseguenze di ciò che scrivo in queste pagine o nelle mie opere musicali.

Io sono di Dio, significa: il mio corpo non è mio e se non mi rivolgo al suo proprietario, e cioè il Padre, le parti di me che adopero senza tener conto delle "istruzioni per l'uso" cominceranno ad ammalarsi.
Coloro che non conoscono le leggi dell’esistenza e non credono necessario rivolgersi al Creatore per essere guidati nel percorso evolutivo, si trovano di fronte costantemente a gravi difficoltà esistenziali. La spinta evolutiva è infatti estremamente potente ed è in grado di trascinare con sé tutti gli esseri viventi. Opporsi a essa reca molto dolore a causa del naturale attrito che si ottiene facendo resistenza. Ormai è chiaro che non seguire le indicazioni del Padre non porta da nessuna parte, eppure la stragrande maggioranza dell’umanità si ostina a pensare di non aver bisogno di alcuna guida dall’alto, oppure a ritenere che far parte della religione convenzionale sia il modo giusto per adorare Dio; le sacre scritture affermano in Geremia 10:23 che “non appartiene all’uomo terreno nemmeno di dirigere il proprio passo”. La malattia è la naturale conseguenza del continuo tentativo umano di seguire un’altra strada. Più ci allontaniamo dalle leggi della natura, più grandi sono le difficoltà da affrontare a causa del terribile attrito provocato.
Tu non sei tuo: sei una parte di Dio, sei suo. Il tuo corpo e tutti i meravigliosi talenti di cui disponi dovrebbero essere messi a disposizione del proprietario.

So, ad esempio, che una patologia riguardante la gola, come una laringite, può essere attribuita a un uso improprio della voce, che anziché essere usata “a vanvera”, è naturalmente in grado di pregare o cantare le lodi al Padre.
Facciamo un esempio ricordando un episodio biblico che si trova in Luca al capitolo 1.


Perché il sacerdote Zaccaria perse la parola, divenendo come muto? Perché non usò la voce in maniera appropriata. La utilizzò in quella circostanza, per dare voce, per incarnare un dubbio che serpeggiava dentro di sé. Egli dimostrò poca fede, quindi fu privato dell’uso della parola fino a quando non ebbe compreso la lezione, secondo i tempi stabiliti da Dio; non si rivolse a medici o guaritori, non consultò alcun logoterapeuta. Aspettò pazientemente il giorno in cui il cuore, libero da ogni dubbio lo avrebbe nuovamente spinto a parlare. 

Questo modo di agire di Dio si è mantenuto fino ai giorni nostri, ma noi ne siamo del tutto all’oscuro. Se non usiamo in maniera appropriata una qualsiasi parte del nostro organismo carnale, saremo ostacolati nel suo utilizzo abituale, fino alla totale perdita dell’uso della parte in causa, se non abbiamo ancora capito la lezione. Semplice vero? 


Già, troppo semplice perché sia creduto al volo dalle nostre menti assetate di spiegazioni complesse, menti addestrate dall’ascolto quotidiano dei mass media, dove numerosi esperti ci dicono come siamo fatti e che dobbiamo seguire i suggerimenti della scienza ufficiale, l’unica autorizzata a impartire le cure ai nostri corpi malati.


Se perdo la voce posso solo scegliere tra due possibilità: 

- Non eliminare il sintomo e ascoltarlo fino a quando esso non mi avrà svelato dove sto fallendo il bersaglio, dove sto peccando. Potrò così attendere che arrivi il giorno in cui il sintomo sarà superfluo, perché non più necessario testimone della mia vecchia condizione d’inconsapevolezza.  La voce tornerà normale quando mi sarò assunto la mia responsabilità, e cioè mi sarò preso la briga di cercare, cercare e cercare ancora la verità riguardo a me stesso.

Dare risposte è il compito nei nostri confronti e verso Dio.

- La seconda scelta riguarda il 99 per cento degli esseri umani. È la porta larga più facile da imboccare, ma che non porta da nessuna parte, dove poi si finisce per perdersi in un dedalo infinito di spiegazioni su spiegazioni, complesse e contraddittorie.  Ci si rivolge alla medicina ufficiale, la nuova classe sacerdotale dei nostri giorni, dove gli oracoli si esprimono dall’alto dei loro camici bianchi, dietro agli altari delle loro scrivanie in cristallo e i loro banchi operatori. 

Nei loro templi troviamo ricette mediche specifiche, una per ogni nostro problema: una pillola per il mal di testa, un’altra per i bruciori di stomaco, delle iniezioni per combattere il temibilissimo virus dell’influenza, la pomata per i dolori reumatici. 

Usciamo dai loro studi con una diagnosi, contenti che finalmente sia stato attribuito un nome alla nostra patologia. E pensiamo che questo potrà bastare a curarci. Se non siamo in grado di assumerci la nostra responsabilità e dare risposte, l’esistenza ci inseguirà chiedendocele con impietosa insistenza. In realtà non si tratta per nulla di crudeltà ma di premura amorevole, che per noi, ignoranti e caparbi, si trasformerà in un incubo.


Perché allora non provare noi a smettere di usare quell’organo del corpo in un modo che non rende onore al suo fattore e proprietario? Il silenzio volontario, ad esempio potrebbe significare questo: 

“Padre, vedo che ancora non uso la voce soprattutto per lodarti col mio canto, o pregarti tutte le volte che posso; spesso chiacchiero di fesserie con le mie amiche, parlo di Brad Pitt e di quanto sia affascinante, e riferisco prontamente le ultime novità sugli amanti della mia vicina di casa; mi sono accorta di questo e ho deciso di non parlare più fino a quando non sentirò di meritare nuovamente questo privilegio, quando avrò compreso la sacralità del mezzo che tu mi hai dato per esprimermi”.

E’ veramente straordinario ciò che accade quando sospendiamo volontariamente di partecipare alla rumorosa farsa collettiva: il silenzio che ci imponiamo come disciplina può creare uno spazio sacro che ogni giorno di più fa posto alla sottile presenza del Signore sottraendoci all’uso meccanico di ogni parte del nostro corpo.

Enrico D'Errico


...continua