26 agosto 2013

L'orgoglio

(continua dal precedente post sulla tracotanza, la vanità). 


Questo peccato capitale o passione maggiore era chiamata "ubris" dai greci (upsilon-beta-rho-jota-sigma); i loro dei punivano il genere umano quando peccava di superbia, quando si rivolgeva al cielo senza umiltà. Ritenersi simili agli dei era considerato arroganza; ora noi in realtà, dobbiamo scoprire proprio di essere simili a Dio, anzi, di essere Dio stesso, ma, come dicono le Scritture, ciò va fatto secondo delle tappe prestabilite. 

In Salmo 82:6 leggiamo "Io stesso ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo". "Voi siete dèi" dice il Padre, e il serpente promette alla donna, se gli darà ascolto: "...e voi sarete davvero simili a Dio" (Genesi 3:5). Dunque Adamo, l'Uomo era destinato a divenire dio, ma in Dio e attraverso Dio, non un altro dio senza Dio.





San Ireneo di Lione scrisse: 
"Bisognava che l'uomo fosse prima creato; che una volta creato crescesse; che essendo cresciuto divenisse adulto; che essendo divenuto adulto si moltiplicasse; che essendosi moltiplicato divenisse forte; che essendo divenuto forte fosse glorificato; e che, glorificato, vedesse il suo Signore". E ancora aggiunge "Come potrai essere Dio se ancora non sei stato fatto uomo? Come potrai essere compiuto se sei stato appena creato?"
Nella Bibbia è detto che Satana fece credere ai nostri progenitori di non aver alcun bisogno di queste tappe di maturazione e che avrebbero potuto conquistare da se stessi la deificazione, quindi per se stessi godere e trarre frutto dalla somiglianza: sarebbe stato sufficiente mangiare del frutto dell'albero, quello al quale Dio non aveva ancora permesso l'accesso perché il tempo non era ancora venuto. 

E' per orgoglio che mi distolgo da Dio quando penso e agisco unicamente secondo il mio piacere. L'orgoglioso vuole esistere senza Dio, vuole impossessarsi dei doni e degli attributi divini e servirsene indipendentemente da Dio. Ma senza Dio, separato dal suo creatore, l'uomo non ha la capacità di divenire uomo; satana lo sapeva. Fuori da Dio è la morte: Dio chiama alla vita, distogliersi da lui significa incamminarsi verso la morte.   


Così come avviene per la vanità, l'orgoglio prende due direzioni: l'orgoglioso cerca di elevarsi e si mette sia al di sopra del fratello, sia al di sopra di Dio. Orgoglio e vanità sono quelle passioni che si fecondano continuamente: la vanità apre la porta all'orgoglio, e l'orgoglio cerca la vanità. Queste due passioni hanno molti punti in comune; la differenza è che non si cerca più lo sguardo dell'altro, ma ci si stima, ci si sovrastima, si è soddisfatti di se stessi fino all'adorazione di sé, l'autolatria. Ci si crede molto intelligenti, molto dotati, molto belli, molto ricchi, con una posizione sociale molto buona, e questo "molto" diventerà "il più" al posto di Dio; ma la scrittura di 1° Corinti 4:7 dice: "Chi dunque ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?" 


L'orgoglioso è come ipnotizzato da se stesso, vive in un mondo chiuso e vede suo fratello solo per disprezzarlo. Oppure l'altro esiste solo come sgabello per elevarsi ancora di più; l'altro è una cosa e, se oppone resistenza, allora diventa oggetto di collera, di aggressività, di odio e ogni vera relazione diventa impossibile. L'orgoglioso non perdona l'offesa, al contrario, calpesta l'altro e si arroga il diritto di giudicarlo, mentre Dio solo può conoscere i nostri pensieri e sondare il nostro cuore.

Posseduto dalla passione, l'orgoglioso è arrogante, ostenta il suo sapere, è infatuato e sicuro di sé. L'orgoglio lo priva della capacità di ascoltare, ha sempre ragione, non può sbagliarsi, rifiuta di mettersi in discussione, si giustifica per non cadere dal suo piedistallo.

Quando cediamo all'orgoglio siamo pieni di follia, chiudiamo gli occhi all'evidenza e gli orecchi alla verità, deliriamo. L'orgoglio di uno solo può voler distruggere una razza, una nazione, può mettere i popoli gli uni contro gli altri, portare al genocidio e alle rivoluzioni; ma può diventare anche orgoglio collettivo: la storia della torre di Babele, nel libro di Genesi è proprio un simbolo di orgoglio collettivo: "Suvvia, edifichiamoci una città e anche una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome celebre..." (Genesi 11:4)        


L'unico antidoto all'orgoglio è l'umiltà,fonte di ogni bene e fondamento della vita. Ecco perché lo scopo dell'ascesi è quello di frantumare l'orgoglio e di fare dell'umiltà la nuova terra dell'uomo.

Ma dell'umiltà continueremo a parlare in un prossimo articolo dal titolo "Essere niente".

Enrico D'Errico