17 settembre 2013

Quando vi conoscerete sarete riconosciuti






Il bisogno di riconoscimento è qualcosa di importante nel processo di formazione del bambino e dell'adolescente e in questa fase i genitori devono dimostrare quanto apprezzano il figlio e spingerlo ad avere stima di sé. Se però a 40 anni una persona ha ancora bisogno che altre persone riconoscano il suo valore c'è evidentemente qualche problema.

Nel 1800 un giovane poeta, incerto sul proprio valore, sottopose alcune sue opere al grande scrittore austriaco Rainer Maria Rilke; io ho trovato questo racconto veramente illuminante e ve lo voglio trascrivere. Ecco cosa rispose Rilke:

"Egregio signore,la sua lettera mi è giunta solo alcuni giorni fa. Voglio ringraziarla per la sua grande e cara fiducia. Poco altro posso. Non posso addentrarmi nella natura dei suoi versi, poiché ogni intenzione critica è troppo lungi da me. Nulla può toccare tanto poco un’opera d’arte quanto un commento critico: se ne ottengono sempre più o meno felici malintesi. Le cose non si possono tutte afferrare e dire come d’abitudine ci vorrebbero far credere; la maggior parte degli eventi sono indicibili, si compiono in uno spazio inaccesso alla parola, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, esistenze piene di mistero la cui vita, accanto all’effimera nostra, perdura. Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove. Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo. Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. Allora si avvicini alla natura. Allora cerchi, come un primo uomo, di dire ciò che vede e vive e ama e perde. Non scriva poesie d’amore; eviti dapprima quelle forme che sono troppo correnti e comuni: sono le più difficili, poiché serve una forza grande e già matura per dare un proprio contributo dove sono in abbondanza tradizioni buone e in parte ottime. Perciò rifugga dai motivi più diffusi verso quelli che le offre il suo stesso quotidiano; descriva le sue tristezze e aspirazioni, i pensieri effimeri e la fede in una bellezza qualunque; descriva tutto questo con intima, sommessa, umile sincerità, e usi, per esprimersi, le cose che le stanno intorno, le immagini dei suoi sogni e gli oggetti del suo ricordo. Se la sua giornata le sembra povera, non la accusi; accusi se stesso, si dica che non è abbastanza poeta da evocarne le ricchezze; poiché per chi crea non esiste povertà, né vi sono luoghi indifferenti o miseri. E se anche si trovasse in una prigione; le cui pareti non lasciassero trapelare ai suoi sensi i rumori del mondo, non le, rimarrebbe forse la sua infanzia, quella ricchezza squisita, regale, quello scrigno di ricordi? Rivolga lì la sua attenzione. Cerchi di far emergere le sensazioni sommerse di quell’ampio passato; la sua personalità si rinsalderà, la sua solitudine si farà più ampia e diverrà una casa al crepuscolo, chiusa al lontano rumore degli altri. E se da questa introversione, da questo immergersi nel proprio mondo sorgono versi, allora non le verrà in mente di chiedere a qualcuno se siano buoni versi. Né tenterà di interessare le riviste a quei lavori: poiché in essi lei vedrà il suo caro e naturale possesso, una scheggia e un suono della sua vita. Un’opera d’arte è buona se nasce da necessità. È questa natura della sua origine a giudicarla: altro non v’è. E dunque, egregio signore, non avevo da darle altro consiglio che questo: guardi dentro di sé, esplori le profondità da cui scaturisce la sua vita; a quella fonte troverà risposta alla domanda se lei debba creare. La accetti come suona, senza stare a interpretarla. Si vedrà forse che è chiamato a essere artista. Allora prenda su di sé la sorte, e la sopporti, ne porti il peso e la grandezza, senza mai ambire al premio che può venire dall’esterno. Poiché chi crea deve essere un mondo per sé e in sé trovare tutto, e nella natura sua compagna.
Forse, però, anche dopo questa discesa nel suo intimo e nella sua solitudine, dovrà rinunciare a diventare un poeta (basta, come dicevo, sentire che senza scrivere si potrebbe vivere, perché non sia concesso). Ma anche allora, l’introversione che le chiedo non sarà stata vana. La sua vita in ogni caso troverà, da quel momento, proprie vie; e che possano essere buone, ricche e ampie, questo io le auguro più di quanto sappia dire.
Cos’altro dirle? Mi pare tutto equamente rilevato; e poi, in fondo, volevo solo consigliarla di seguire silenzioso e serio il suo sviluppo; non lo può turbare più violentemente che guardando all’esterno, e dall’esterno aspettando risposta a domande cui solo il sentimento suo più intimo, nella sua ora più quieta, può forse rispondere.
Suo devotissimo
Rainer Maria Rilke"

Tempo fa, come il giovane poeta che si rivolse a Rilke, scrissi al mio caro amico Salvatore, preoccupato del fatto che nessuno sembrava essere interessato alle mie composizioni musicali.
Ecco uno stralcio della sua risposta:


“Il bisogno di essere apprezzato è una questione importante: quando non te ne fregherà più niente di essere apprezzato, quella musica finirà solo nelle mani di chi la apprezza e quindi tu comincerai a ricevere solo complimenti, come accade a me per i libri. Tu sappi che la materia prima ce l'hai ed è buona, quindi entrare nel "successo" dipende solo da una tua predisposizione interiore, ma deve morire l'attaccamento al parere degli altri.”
Tommaso, nel suo vangelo apocrifo scrisse:
"Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e comprenderete di essere figli del Padre vivente. Ma se non vi conoscerete, allora vivrete in miseria, e sarete la miseria stessa." (verso 3 parte b)

Conoscersi è sempre stato considerato della massima importanza fin dai tempi degli antichi greci che sul tempio di Delfi scrissero "Γνῶθι σεαυτόν", conosci te stesso.
Nel vangelo di Giovanni, al capitolo 8, versetto 32 si legge "conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi", mentre al capitolo 17, versetto 3 si legge "Questo significa vita eterna, che acquistino conoscenza di te, il solo vero Dio, e di colui che tu hai mandato, Gesù Cristo."
Quindi conoscere la verità ci rende liberi e acquistare conoscenza significa per noi la vita eterna.


Conoscere, conoscersi, ci fa comprendere di essere figli di Dio, di essere Uno con lui; comprendiamo che la morte e il tempo non esistono. Quando sappiamo di avere un Padre, cessano tutti i rapporti di dipendenza dagli altri e si trasformano in desiderio di dare; prima eravamo voraci, ora chiediamo che si nutrano di noi. Prima avevamo necessità che venisse riconosciuto il nostro valore, ma ora che lo abbiamo scoperto, non abbiamo più bisogno di conferme dall'esterno e viviamo nella prosperità divina, nel Regno di Dio.

Ora che sappiamo chi siamo anche gli altri riconoscono il valore delle cose che diciamo o facciamo e, automaticamente, arriva ogni genere di ricchezza.
Noi mettiamo al primo posto il Regno di Dio e lui ci da tutte le altre cose per cui prima ci preoccupavamo tanto, e, come afferma Malachia 3:10, vengono aperte le cateratte dei cieli e sono riversate su di noi benedizioni fino a che non ce n'è più bisogno.

Enrico D'Errico


(Questo post è in parte tratto dal mio libro "Io sono un'Anima""