Quando si parla di giudizio è necessario distinguere tra quello che praticano le persone che vivono in uno stato di coscienza orizzontale e duale, quello che nel Lavoro su di sé viene a volte definito “del mondo” e quello che viene messo in atto da coloro che, una volta risvegliati, vivono in piena consapevolezza il loro essere nel mondo ma non del mondo.
Parlando di giudizio inteso come “arte del giudicare” va
detto che in passato coloro che erano sottoposti a tale pratica potevano
contare su persone non solo sane, neutrali e oneste, ma addirittura su uomini
che erano in diretto contatto con Dio, giudici che si facevano portavoce della
volontà del Creatore sulla Terra.
In tale senso mi sembra veramente illuminante parlare
dell’episodio che si trova nel secondo libro di numeri, al capitolo 3.
Questo racconto dimostra in maniera lampante l’enorme
capacità di discernimento di cui erano dotati i giudici di un tempo.
La storia narra che due donne vivevano insieme ed avevano
partorito negli stessi giorni un bambino. Durante la notte uno dei due bambini
morì e la mamma lo scambiò con quello della sua compagna. Al mattino la vera
mamma, riconoscendo il suo bambino, fece causa alla compagna davanti al re per
riavere il figlio.
Il re Salomone ordinò di tagliare il bambino conteso in
due parti e darne una metà all’una e una metà all’altra. La vera madre allora pregò
il re di il non fare del male al bambino e di lasciarlo all'altra, che si
riteneva soddisfatta della spartizione.
Presa la parola, il re disse: "Non fatelo morire e
date alla prima donna il bimbo vivo: quella che è disposta a
rinunciare a lui purché viva, è sua madre."
Oggi, quale giudice, o quale uomo o donna, sarebbe capace di gestire una situazione simile? I fiumi di parole che si sprecherebbero per cercare una verità...
Oggi si è capaci molto bene di giudicare senza sapere nulla, senza possedere alcun discernimento e soprattutto ignorando del tutto cosa siano empatia e compassione.
Enrico D'Errico
egosumanima