La parola “orgé” viene tradotta generalmente con “collera” o con “impazienza”. Nel linguaggio biblico si parla di “Qesôr ‘appaim” che significa letteralmente brevità del respiro. In effetti la collera ci fa perdere il fiato, il respiro si fa affannoso, l’uomo soffoca: è come posseduto.
Evagrio Pontico attribuisce molta importanza al fenomeno della collera. Secondo lui la collera sfigura la natura umana e rende l’uomo simile ad un demonio. Nella lettera 56 è particolarmente esplicito: “Nessun vizio rende demoniaco l’intelletto quanto la collera, a motivo del turbamento della parte irascibile; è detto infatti nel salmo 58, verso 5: ‘la loro collera è simile al serpente’.
Il demonio non è diverso dall’uomo turbato dalla collera”.
D’altra parte la collera rovina il fegato ed eccita la bile; diventa poi particolarmente pericolosa se è una “collera soffocata”, non manifestata; può portare facilmente all’ulcera. In ogni caso, ci dice Evagrio, essa non mancherà di provocare degli incubi la notte e di turbare il nostro sonno.
Una delle cause della collera proviene dalla nostra difficoltà ad accettare l’altro in quanto tale. Se il prossimo non corrisponde all’immagine che ci facciamo di lui, il nostro spirito si irrita, il risentimento ci rode. È un segno di immaturità (si pensi alle collere dei bambini che vogliono tutto e subito). Possono esservi però delle giuste collere di adulto, ad esempio l’indignazione davanti ad un’ingiustizia. Ma qui non c’è odio e lo scoppio che esse provocano mira a svegliare coloro ai quali sono rivolte per ricondurli sul giusto sentiero.
Quali sono i rimedi alla collera cattiva che rende l’uomo alienato? Prima di tutto il perdono: perdonarci vicendevolmente di essere solo ciò che siamo; in secondo luogo, imparare a respirare, a prolungare Il nostro respiro. Può sembrare un consiglio solo dettato dal buon senso, ma in realtà è anche un esercizio spirituale. Nel linguaggio biblico, per dire che “Dio è paziente”, si dice “che ha delle grandi narici”; è un’immagine psicosomatica per esprimere la calma e la pazienza del Signore.
”Che il sole non tramonti sul vostro stato d’irritazione!” (Efesini 4:26); è probabile che gli antichi monaci, prima di coricarsi la sera, prima di perdonare I loro nemici, si dedicassero a qualche esercizio respiratorio, insistendo sulla espirazione per scacciare ogni pensiero di collera, allargando così le loro narici per acquistare una pazienza di tipo divino. Comunque la grande qualità del Monaco, secondo Evagrio, è la dolcezza (prautés), ossia l’opposto della collera, ed è ciò che distingueva Mosè e Gesù dagli altri uomini. Una dolcezza che non era languore o debolezza, bensì manifestazione della perfetta padronanza dello Spirito Santo sulla parte irascibile dell’essere, sempre pronta a irritarsi. Vi è una dolcezza transpersonale che è più di una semplice gentilezza di carattere: è il riflesso dell’armonia, di tutte le facoltà fisiche e psichiche dell’uomo raggiunte attraverso il “pneuma”.